sabato 13 novembre 2010

UN elects Executive Board of new agency for women’s empowerment

10 November 2010 – Member States today took the next step in enabling the newly-created United Nations agency on gender equality and women’s empowerment to begin its work by electing countries to serve on its Executive Board.

The elections, held in the 54-member Economic and Social Council (ECOSOC), will enable the new Board to come together prior to the official establishment on 1 January 2011 of the UN Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women (UN Women).

The 41 board members were selected on the following basis: 10 from Africa, 10 from Asia, 4 from Eastern Europe, 6 from Latin America and the Caribbean, 5 from Western Europe and 6 from contributing countries.

Elected from the African Group were Angola, Cape Verde, Congo, Côte d’Ivoire, Democratic Republic of the Congo (DRC), Ethiopia, Lesotho, Libya, Nigeria and Tanzania.

Bangladesh, China, India, Indonesia, Kazakhstan, Japan, Malaysia, Pakistan, Republic of Korea and Timor-Leste were elected from among the Asian States.

Estonia, Hungary, Russia and Ukraine were elected from among the Eastern European States, while Denmark, France, Italy, Luxembourg and Sweden were elected from the Western European and Other States.

In addition, the Council elected Argentina, Brazil, Dominican Republic, El Salvador, Grenada and Peru from the group of Latin American and Caribbean States.

The Council also elected Mexico, Norway, Saudi Arabia, Spain, United Kingdom and United States from among the “contributing countries,” for three-year terms beginning today.

The 35 members elected from the regional groups will serve two-year and three-years, beginning today, as determined by the drawing of lots.

Chosen to serve two-year terms were Argentina, Bangladesh, Brazil, Côte d’Ivoire, DRC, El Salvador, Estonia, France, India, Italy, Lesotho, Libya, Malaysia, Pakistan, Russia, Tanzania and Timor-Leste.

Angola, Cape Verde, China, Congo, Denmark, Dominican Republic, Ethiopia, Grenada, Hungary, Indonesia, Japan, Kazakhstan, Luxembourg, Nigeria, Peru, Republic of Korea, Sweden and Ukraine were selected to serve three-year terms.

Headed by former Chilean president Michelle Bachelet, UN Women is the merger of the UN Development Fund for Women (UNIFEM), the Division for the Advancement of Women (DAW), the Office of the Special Adviser on Gender Issues, and the UN International Research and Training Institute for the Advancement of Women (UN-INSTRAW).

The new agency was established on 2 July by a unanimous vote of the General Assembly to oversee all of the world body’s programmes aimed at promoting women’s rights and their full participation in global affairs. One of its goals will be to support the Commission on the Status of Women and other inter-governmental bodies in devising policies.

It will also aim to help Member States implement standards, provide technical and financial support to countries which request it, and forge partnerships with civil society. Within the UN, it will hold the world body accountable for its own commitments on gender equality.

In carrying out its functions, UN Women will be working with an annual budget of at least $500 million – double the current combined resources of the four agencies it comprises.
 
Fonte: UN News

venerdì 23 luglio 2010

Giustizia per Faith

Pubblico la lettera scritta dall'ASGI (Associazione studi giuridici sull'immigrazione) per fare luce sulle inquietanti e gravissime violazioni dei diritti umani che si nascondono dietro il rimpatrio della giovane ragazza nigeriana

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Spett.le
Prefetto di Bologna
via IV Novembre, 24
40123 Bologna

Spett.le
Questore di Bologna
piazza G. Galilei
40123 Bologna

Spett.le
Garante dei diritti delle persone private della libertà personale
avv. Desi Bruno
piazza Roosvelt, 3
40121 Bologna

Spett.le
Comune di Bologna
Commissario governativo
dr.ssa Annamaria Cancellieri
piazza Maggiore, 6
40124 Bologna


Apprendiamo dalla stampa che una giovane nigeriana di nome Faith A., trattenuta presso il C.I.E. di Bologna per non aver ottemperato a pregresse espulsioni, in data 21 luglio 2010 è stata forzatamente rimpatriata in Nigeria, nonostante:

- avesse espresso la volontà di presentare richiesta di protezione internazionale, che di fatto presentava la mattina stessa attraverso il suo legale,

- nonostante nel suo Paese rischi la condanna a morte o il carcere a vita per avere ucciso un notabile che aveva tentato di stuprarla, motivo per cui la giovane si era rifugiata in Italia,

- nonostante fosse in attesa di definizione della procedura di regolarizzazione attivata sin dal settembre 2009.

Paradossalmente la giovane è stata rintracciata dalle forze di polizia dopo che queste erano state chiamate in suo soccorso, a seguito di un tentativo di violenza sessuale subito nella propria abitazione, che la giovane aveva denunciato!

Questa situazione è stata immediatamente segnalata alle Autorità di pubblica sicurezza, prima dell’inizio della esecuzione dell’espulsione così come durante l’esecuzione, ma ciò nonostante si è incredibilmente proceduto all’allontanamento ed al rimpatrio, incuranti ed indifferenti ai gravissimi rischi ai quali si sarebbe esposta la giovane straniera.

Evidenti ed inconfutabili sono le gravissime violazioni dei diritti umani di Faith e le gravissime responsabilità istituzionali per non averle consentito innanzitutto una tutela contro la violenza subita in Italia, nonché di beneficiare del diritto all’asilo politico sia attraverso il divieto di espulsione che consentendole un effettivo accesso alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, in violazione di quanto previsto dalle Convenzioni internazionali (Conv. di Ginevra sui rifugiati del 1951 ma anche Convenzione europea dei diritti umani), dalla Costituzione italiana (art. 10, co. 3) e dalla legge italiana (art. 7 d.lgs. 25/2008 e art. 19 TU 286/98).

In considerazione di quanto sopra, si chiede che le Autorità in indirizzo forniscano, ognuno per la parte di competenza, ogni opportuno chiarimento in merito al fatto sopra descritto.

Si comunica che la scrivente Associazione si rivolgerà ai competenti Organismi internazionali per la verifica delle violazioni sopra descritte e per la tutela dei diritti della giovane Faith A..

In attesa di pronto riscontro

per ASGI:

avv. Nazzarena Zorzella
dott.ssa Barbara Spinelli

giovedì 22 luglio 2010

Comunicato GD sulle reazioni pubbliche alla sentenza 265/2010

                         


                      ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI

                                            Gruppo di ricerca “generi e famiglie”

La modifica dell’art. 275 comma 3 del codice di procedura penale che prevede l’obbligatorietà della misura custodiale in carcere per determinate ipotesi di reato è stata fortemente voluta dal Ministero delle Pari Opportunità quale “palliativo” capace di “sedare l’opinione pubblica” a fronte dell’incapacità di garantire adeguata protezione alle vittime donne e minori che scelgono di denunciare situazioni di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e prostituzione minorile.

Non si può certo pensare che soluzioni repressive irrazionalmente generalizzanti possano essere di per sé solo sufficienti a tutelare le vittime e ad avere efficacia deterrente.

Nel nostro ordinamento, l’applicazione delle misure cautelari è subordinata a specifiche condizioni di applicabilità (273 c.p.p.) ed a esigenze cautelari (274 c.p.p.). La custodia cautelare può essere disposta solo quando ogni altra misura cautelare risulti inadeguata (275 co.3 c.p.p.).

La pericolosità sociale dell’indagato ai fini della custodia cautelare in carcere è presunta unicamente per i reati di criminalità organizzata. Nelle altre ipotesi è sempre il giudice che, valutando anche la pericolosità del soggetto, deve decidere quale sia la misura cautelare più adeguata al caso concreto.

E’ pericolosissimo collegare a situazioni che si ritengono di allarme sociale l’obbligo di detenzione cautelare carceraria, anzi, è anticostituzionale, perché mina alle basi i principi cardine del nostro ordinamento democratico.

L’intervento della Corte Costituzionale era dunque dovuto e le reazioni emotive a questa sentenza sono inutili e ancora una volta espressione della politica del Governo Berlusconi che cerca di stravolgere i principi fondamentali del nostro ordinamento con la legislazione dell’emergenza.

Dire che la sentenza della Corte Costituzionale è ingiusta è espressione dell’incapacità di pensare ed attuare una risposta adeguata per prevenire tutti i crimini maschili contro le donne e i minori, come peraltro raccomandato più volte allo Stato italiano dal Comitato per l’attuazione della CEDAW (Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne).

Prevedere per legge la misura cautelare più gravosa, quella della custodia in carcere, come obbligatoria, vuole solo rassicurare la collettività ma di fatto non tutela davvero chi è vittima di questa tipologia di reati, che spesso si ritrova da sola ad affrontare le fasi del processo e quelle successive. Anzi, paradossalmente danneggia le donne vittime di violenze sessuali commesse da conoscenti, compaesani, amici.

Si deve prendere atto che in Italia c’è un diffuso clima culturale sessista che permea non solo chi commette questi reati, ma qualche volta anche chi è chiamato a decidere sugli stessi.

Molto spesso ad esempio nei reati di violenza sessuale la valutazione della gravità della condotta è sempre più ravvisata quando l’azione è commessa da un estraneo e su strada; al contrario, per le violenze che avvengono all’interno delle relazioni di lavoro, familiari, amicali, molto spesso viene riconosciuto un minore disvalore sociale, che a volte si traduce addirittura nella applicazione di una pena nei limiti della sospensione condizionale. Quale tutela per queste donne? Ovvero, quale tutela per la maggior parte – statisticamente parlando – delle vittime di violenza sessuale?

Detto questo, non si può pensare che il problema si risolva prevedendo la carcerazione come obbligatoria: il problema è culturale, e si risolve da un lato decostruendo gli stereotipi patriarcali sul ruolo della donna all’interno della società, e dall’altro con una adeguata formazione.

E’ tempo, anche in Italia come nel resto dell’Europa, di iniziare ad approcciare al gravissimo fenomeno criminale della violenza maschile sulle donne non soltanto attraverso l’utilizzo dello strumento penale, ma anche migliorando ed implementando l’utilizzo della l. 154/2001 e dunque degli ordini di allontanamento, fornendo ascolto e supporto effettivo, anche e soprattutto in termini psicologici ed economici, alle donne che denunciano di essere vittime di tali crimini durante la fase delle indagini e del procedimento penale.

E’ necessaria una formazione adeguata per valutare la situazione di rischio specifico che la donna corre nel momento in cui sceglie di denunciare la violenza che subisce.

Anziché imporre ai magistrati la carcerazione obbligatoria dell’indagato è decisamente più opportuno provvedere alla formazione specifica delle forze dell’ordine e della magistratura affinché venga garantita la protezione delle vittime di tali reati, con un uso adeguato di tutte le misure cautelari previste dal nostro ordinamento.

Questo richiede molte più risorse ovviamente, forse è per questo che nessuno ha il coraggio di parlarne.

Ma è questo quello che le donne che denunciano si aspettano: non vendetta, ma protezione, e il ritorno a una vita libera dalla violenza. Questo è diritto fondamentale che lo Stato ha l’obbligo di garantire sì, ma con gli strumenti adeguati.

L’incolumità psico-fisica della vittima non trova la sua massima tutela nella sola privazione della libertà dell’indagato in sede di indagini preliminari, ma piuttosto in una rete di protezione che è obbligo del Governo prevedere, garantire e attuare.

Bologna - Ravenna, 22 luglio 2010

giovedì 3 giugno 2010

Il Consiglio dei diritti umani ONU e i suoi strumenti

Avv. Micòl Savia

Rappresentante dell'Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici presso le Nazioni Unite di Ginevra

Una nota introduttiva

Il Consiglio dei Diritti Umani (CDU) è stato istituito il 15 marzo 2006 dall'Assemblea Generale con la risoluzione 60/2511.
Il CDU, che ha sostituito l'antica Commissione sui diritti umani, è un organo sussidiario dell'Assemblea Generale ed è incaricato di promuovere e garantire il rispetto universale di tutti i diritti umani: civili, politici, economici, sociali e culturali, incluso il diritto allo sviluppo. Il Consiglio deve, inter alia: esaminare ed affrontare le violazioni dei diritti umani adottando gli opportuni provvedimenti; fare raccomandazioni all'Assemblea Generale per lo sviluppo del diritto internazionale nel campo dei diritti umani; intraprendere un esame periodico universale dell'adempimento da parte di ogni Stato delle proprie obbligazioni in materia di diritti umani; contribuire alla prevenzione delle violazioni dei diritti umani e rispondere prontamente alle emergenze umanitarie.
Il CDU presenta un rapporto annuale all'Assemblea Generale.
Composizione - Il CDU è un organo intergovernativo composto da 47 Stati, eletti dall'Assemblea Generale a maggioranza assoluta e con voto segreto. Formalmente possono essere eletti nel Consiglio tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, ma la risoluzione 60/251 precisa che, ai fini dell'elezione, devono essere tenuti in considerazione il contributo dei candidati alla promozione e protezione dei diritti umani nonché le promesse e gli impegni dagli stessi assunti a tal fine. I membri del Consiglio restano in carica per tre anni e possono essere rieletti, immediatamente e per una volta sola. L'Assemblea Generale, con maggioranza dei 2/3, può sospendere uno Stato membro del Consiglio qualora questo si renda responsabile di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani.
L'elezione del primo Consiglio dei diritti umani è avvenuta il 9 maggio 2006)2. Per l'attuale composizione, vedi http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/membership.htm.
Sede e metodo di lavoro - Il CDU ha sede in Ginevra, dove si riunisce regolarmente, tenendo non meno di tre sessioni annuali per una durata complessiva non inferiore alle 10 settimane. Il Consiglio può, a richiesta di 1/3 dei suoi membri, convocare delle sessioni straordinarie al fine di
affrontare situazioni ritenute urgenti3.
L'Ordine del giorno del Consiglio prevede, ad ogni sessione, l'analisi dei seguenti 10 punti: 1) Questioni organizzative e procedurali; 2) Rapporto annuale dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani; 3) Promozione e protezione di tutti i diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali, incluso il diritto allo sviluppo; 4) Situazioni relative ai diritti umani che richiedono l'attenzione del Consiglio; 5) Organi e meccanismi di difesa dei diritti umani; 6) Esame Periodico Universale; 7) Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati; 8) Follow up ed applicazione della Dichiarazione e del Programma d'azione di Vienna; 9) Razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e forme connesse di intolleranza, seguito e applicazione della Dichiarazione e del Programma d'azione di Durban; 10) Assistenza tecnica e rafforzamento delle capacità.
Alle riunioni del CDU possono partecipare come osservatori: gli Stati delle Nazioni Unite che non sono membri dello stesso, agenzie specializzate, organizzazioni intergovernative, istituzioni nazionali che si occupano di diritti umani nonché le ONG aventi status consultivo presso l'ECOSOC, così come l'Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici4 La partecipazione delle ONG è regolata dalla risoluzione 1996/31 dell'ECOSOC e dalle pratiche stabilite dall'antica Commissione sui Diritti Umani.
Le ONG sostanzialmente possono:
–fare interventi orali della durata massima di due minuti su una tematica all'ordine del giorno;
–presentare interventi scritti di non più di 1.500/2.000 parole. Tali interventi devono essere depositati circa due settimane prima dell'inizio di ogni sessione e devono essere pertinenti ai temi che saranno trattati durante la medesima. Agli stessi viene data ampia diffusione ad opera della Segreteria del CDU che ne distribuisce copia a tutti gli addetti ai lavori e li pubblica sul sito, inserendoli tra la documentazione ufficiale.
–possono, infine, riservare delle stanze all'interno del Palazzo delle Nazioni Unite per svolgere dibattiti e conferenze su temi di interesse del Consiglio. La Segreteria segnala tali “eventi paralleli” nell'ordine del giorno che distribuisce quotidianamente.
Il 18 giugno 2007, dopo un anno di intensi negoziati, il CDU ha adottato la risoluzione 5/1 (“Institution-building package”) ponendo le basi per il funzionamento dei suoi nuovi meccanismi.

ESAME PERIODICO UNIVERSALE

L'Esame Periodico Universale è nuovo meccanismo introdotto dalla risoluzione 60/251. L'Assemblea Generale, con detta risoluzione, ha dato mandato al CDU di eseguire un esame periodico universale dell'adempimento da parte di ogni Stato delle Nazioni Unite delle proprie obbligazioni in materia di diritti umani. La risoluzione specifica che l'esame deve garantire una copertura universale e l'uguaglianza di trattamento per tutti gli Stati; deve, inoltre, trattarsi di un meccanismo cooperativo basato sul dialogo interattivo e sull'attiva partecipazione dello Stato esaminando.
Su tali basi, con la risoluzione 5/1 il Consiglio ha concretamente determinato modalità e tempistiche del EPU. Ha adottato un calendario che prevede l'esame di tutti gli stati membri dell'ONU entro il 2011 ed ha stabilito che l'esame viene condotto da un Gruppo di lavoro (Working Group) composto dai 47 Stati membri del Consiglio. Per ogni esame, al fine di facilitare i lavori, viene nominato un gruppo di tre rapporteurs (troika), estratti a sorte fra tutti gli Stati Membri, che predispongono la bozza del rapporto finale del Working Group.
L'EPU si svolge sulla base di tre documenti: un rapporto preparato dallo Stato oggetto dell'esame; un rapporto compilato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite sulla base dei dati provenienti da vari organi ed agenzie delle Nazioni Unite, ed infine, un rapporto sempre compilato dall'Alto Commissariato, contenente “informazioni credibili e degne di fede provenienti da altre parti interessate”.
A tale ultimo rapporto possono contribuire le ONG depositando osservazioni scritte di un massimo di 5 o 10 pagine, a seconda che siano presentate da una o più organizzazioni. Tali osservazioni scritte devono essere depositate entro termini perentori5.
Nella pratica l'Esame Periodico Universale, essendo svolto da Stati piuttosto che da esperti indipendenti, sta sollevando molti dubbi in ordine alla sua efficacia. Resta tuttavia la possibilità per le ONG di segnalare e denunciare eventuali violazioni dei diritti umani e di contribuire alla stesura di uno dei tre rapporti di cui sopra.

SPECIAL PROCEDURES

Le Special Procedures sono delle procedure che esistevano già in costanza della vecchia Commissione sui Diritti Umani, e che oggi sono state riprese dal CDU.
Il Consiglio dei Diritti Umani può dare mandato a uno o più esperti indipendenti di analizzare, monitorare, e relazionare sulla situazione dei diritti umani in un dato territorio, o su una tematica specifica. Attualmente ci sono 8 Mandati per paese6, e 30 per tema .
Durante la prossima sessione del CDU (2 - 27 marzo 2009), dovrebbero essere presentati, tra gli altri, i rapporti di:
•Mr. Olivier de Schutter (Belgio), Special Rapporteur (SR) sul diritto al cibo;
•Ms. Catarina de Albuquerque (Portogallo), Esperto Indipendente (IE) sul tema dell'accesso all'acqua potabile;
•Ms. Raquel Rolnik (Brasile), SR sul diritto ad un'abitazione adeguata senza discriminazioni;
•Mr. Martin Scheinin (Finlandia), SR sulla promozione e rispetto dei diritti umani nella lotta contro il terrorismo;
•Mr. Manfred Nowak (Austria), SR sulla tortura;
•Ms. Asma Jahangir (Pakistan), SR sulla libertà di religione;
•Ms. Gay McDougall (USA), IE sul tema delle minoranze;
•Ms. Margaret Sekaggya (Uganda), SR sulla situazione dei difensori dei diritti umani.

ADVISORY COMMITTEE
L'Advisory Committee ha sostituito la vecchia Sotto-Commissione alla Promozione e Protezione dei diritti umani. E' costituita da un gruppo di esperti (18)7 che svolge studi e ricerche per conto e sotto la direzione del Consiglio.
Si riunisce due volte l'anno per un massimo di 10 giorni lavorativi. Le ONG accreditate possono partecipare ai suoi lavori con interventi scritti e orali e possono organizzare eventi paralleli. La sessione inaugurale si è svolta nell'agosto 2008. La seconda sessione nel gennaio 2009. La prossima sessione è prevista tra il 3 e il 7 di agosto 2009.

COMPLAINTS PROCEDURES

La risoluzione 5/1 del Consiglio dei diritti umani, ricalcando lo schema della vecchia procedura 1503, ha istituito un meccanismo che consente ai singoli ed alle associazioni di portare all'attenzione del Consiglio casi di gravi e flagranti violazioni di diritti umani o delle libertà fondamentali, in qualsiasi parte del mondo queste accadano.
Ai sensi dell'art. 87 della predetta risoluzione, le comunicazioni relative a pretese violazioni sono ammissibili quando:
a)non sono manifestamente politically motivated e si attengono al diritto internazionale;
b)presentano una descrizione oggettiva delle dedotte violazioni, ed indicano il diritto che si assume violato;
c)non utilizzano un linguaggio offensivo;
d)sono presentate da una persona o un gruppo di persone che assumono essere vittime di una violazione dei diritti umani o libertà fondamentali; oppure da una persona o gruppo di persone, ivi incluse le ONG, che in buona fede ed in accordo con il diritto internazionale, dichiarino di avere conoscenza diretta ed affidabile di tali violazioni. La conoscenza dei fatti può essere di seconda mano, purché sia accompagnata da prove certe;
e)non sono esclusivamente basate su informazioni fornite dai mass media;
f)non sono già oggetto di una Procedura Speciale o altra procedura delle Nazioni Unite nel campo dei diritti umani;
g)sono stati espletati tutti i rimedi domestici, salvo che si tratti di rimedi palesemente inefficaci o ingiustificatamente dilatorii prolungati nel tempo.
Le comunicazioni, prima di essere eventualmente portate a conoscenza del Consiglio, sono esaminate da due Working Group:
•Working Group on Comunications. Il Gruppo di Lavoro sulle Comunicazioni è costituito da 5 membri, nominati dall'Advisory Committee fra i suoi componenti, uno per ogni Gruppo Regionale e rispettando la parità di genere. Il WG deve decidere sull'ammissibilità delle comunicazioni e valutare il merito dei fatti allegati prima di trasmetterle eventualmente allo Stato interessato. Le comunicazioni ritenute ammissibili vengono inviate al Working Group on Situations.
–Working Group on Situations. Il Gruppo di Lavoro sulle Situazioni è composto da 5 membri, nominati uno da ciascun gruppo regionale e tenuto conto della parità di genere. Il WG on Situations, sulle basi delle informazioni e raccomandazioni ricevute dal WG on Communications, deve presentare al Consiglio un rapporto sui casi
rilevati di gravi e flagranti violazioni dei diritti umani, e fare raccomandazioni al Consiglio sulle misure da prendere, preparando una bozza di risoluzione.
Entrambi i WG si riuniscono almeno due volte l'anno, con sessioni di 5 giorni lavorativi ciascuna. Il Consiglio deve considerare le violazioni portate alla sua attenzione dal WG ogni volta che sia necessario, ma comunque almeno una volta l'anno. Il lasso di tempo che intercorre tra la trasmissione della denuncia allo Stato interessato e la considerazione del caso da parte del Consiglio non deve superare i 24 mesi.
Il Consiglio, a sua volta, può decidere di: a) sospendere l'esame della situazione; b) continuare a tenere la situazione sotto controllo, chiedendo allo Stato interessato di fornire informazioni; c) continuare a tenere la situazione sotto controllo, nominando un esperto indipendente altamente qualificato per monitorare la situazione e riferire al Consiglio; d) rendere la procedura pubblica; e) raccomandare all'Alto Commissariato per i Diritti Umani di fornire allo Stato interessato assistenza tecnica.

Il Consiglio dei Diritti Umani e i suoi strumenti hanno, purtroppo, finora deluso molte aspettative. Di fatto il suo operato risulta spesso determinato dagli equilibri politici e diplomatici tra gli Stati, a discapito della protezione dei diritti umani. Ciò nonostante, afferma principi e diritti fondamentali, attestandosi su posizioni così avanzate che in molti Stati del mondo occidentale sarebbero considerate estremiste.
Le ONG, per quanto si cerchi di limitare al massimo il loro intervento, hanno la possibilità di agire all'interno del sistema di diritti umani delle Nazioni Unite. L'importante è saper sfruttare piccole opportunità con grande energia.



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1La risoluzione 60/251 è stata adottata dall'Assemblea Generale con 170 voti a favore, 4 contrari (Stati Uniti d'America, Israele, Palau, Isole Marshall) e 3 astensioni (Iran, Bielorussia, Venezuela).
2Come previsto dalla risoluzione 60/251, i seggi sono stati attribuiti in base ad un'equa distribuzione geografica: 13 seggi agli Stati africani, 13 seggi agli Stati asiatici; 6 seggi agli Stati dell'Est europeo; 8 seggi agli Stati latino-americani e Caraibi; 7 seggi agli Stati occidentali ed altri Stati
3Recentemente sono state convocate tre sessioni straordinarie: nel maggio 2008 sulla crisi alimentare; nel novembre 2008 sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo; nel gennaio 2009 sull'invasione di Gaza.
4L'Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici (IADL), fondata nel 1946, rappresenta associazioni di avvocati e Consigli dell'Ordine di più di 100 paesi del mondo, tra le quali l'associazione italiana dei Giuristi Democratici. Cfr. www.iadllaw.org.
5 I termini per presentare osservazioni scritte in relazione ai 16 Stati che saranno revisati durante la 6° sessione dell'EPU (30 novembre - 11dicembre 2009) sono 13 e 20 aprile 2009.
6Burundi, Cambogia, Korea del Nord, Haiti, Myanmar, Territori Occupati della Palestina, Somalia e Sudan.
7Gli esperti indipendenti sono nominati dal Consiglio e restano in carica per un mandato di tre anni, rinnovabile una sola volta.
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martedì 1 giugno 2010

La costituzione di parte civile della Consigliera di Parità

La costituzione di parte civile della Consigliera di Parità


Avv. Roberto Lamacchia – Presidente Associazione Nazionale Giuristi Democratici


Relazione tenuta nell’ambito del Corso di diritto antidiscriminatorio (http://www.ordineavvocatitorino.it/UserFiles/File/convegni/comm_scientifica/CONVEGNI_ORDINE/ANNO_2010/PROGRAMMA_DIRITTO_ANTIDISCRIMINATORIO__3_1.pdf) a Torino, nella lezione del 14.05.2010, “Il codice pari opportunita’. Le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Tutela penale e tutela civile. Analisi di casi Pratici”.


Fonte: http://www.giuristidemocratici.it/post/20100531183805/post_html


L'istituzione della figura della Consigliera di Parità, già prevista dal D.Lvo 196/00 è stato riprodotto dall'alt. 15 del codice delle pari opportunità emanato con il D.Lvo 198/06, con le modifiche ora introdotte dal D.Lvo 25/1/10 n. 5.

Le precedenti relazioni vi hanno già illustrato il contenuto generale della normativa, nonché i casi pratici più

frequentemente presentatisi nel corso degli anni.

A me tocca trattare esclusivamente la parte penalistica del tema e, dunque, in particolare, la possibilità di costituzione di parte civile della Consigliera di Parità nei procedimenti aperti per reati relativi a discriminazioni di genere aventi natura penale.

Le discriminazioni di genere che avvengono in ambito lavorativo, e dunque di competenza della Consigliera di parità, secondo l'art. 1 CEDAW (Convenzione per l'Eliminazione e la Discrimazione contro le donne) ratificata con la L. 132 del 14 marzo 1985 e che ha valore di fonte sovranazionale, consistono in "Ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul genere che abbia come conseguenza, o come scopo, dì compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico,sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di paritàtra uomo e donna".

Possono, dunque, integrare fattispecie penali discriminatorie:

- Violenza privata

- maltrattamenti sul luogo di lavoro

- molestie sessuali

- molestie o ingiurie

- violenza sessuale

- atti persecutori

- percosse

- lesioni personali

- omicidio

- procurato aborto

E, in generale, ogni condotta penalmente rilevante che sia commessa nell'ambito della relazione lavorativa, tanto da parte dei datore di lavoro quanto di un collega, e colpisca la donna per l'appartenenza specifica al suo genere femminile, andando a ledere, compromettere o limitare il godimento dei suoi diritti o l'esercizio delle sue libertà fondamentali "in quanto donna".

Va precisato che la normativa sulla Consigliera di Parità non fa riferimento alcuno alla possibilità, o meno, per la Consigliera di Parità di entrare nei procedimenti penali; infatti, gli artt. 36 e 37 dei D.Lvo 198/06, pur con le modifiche ed integrazioni apportate dal D.Lvo 25/1/10 n. 5, fanno esclusivamente riferimento alla possibilità per la Consigliera di Parità di adire il Tribunale in funzione di Giudice dei Lavoro o il Tribunale Amministrativo Regionale competente.

Si tratta, dunque, di interpretare la normativa, lacunosa sul punto specifico, alla luce dei principi generali.

Sulla questione, per quanto mi consta, non esistevano precedenti sino al momento in cui la Consigliera di Parità della Regione Piemonte ha deciso, tramite i suoi difensori, di tentare la costituzione di parte civile in un procedimento penale per molestie sessuali promosso da tre dipendenti della SAGAT nei confronti di tre dipendenti della Società stessa.

All'udienza preliminare per due dei tre imputati (il terzo era stato giudicato separatamente), dunque, la Consigliera di Parità ha depositato atto di costituzione di parte civile, evidenziando il proprio buon diritto alla costituzione in presenza di reati integranti fattispecie discriminatorie che l'attività della Consigliera è istituzionalmente tesa a contrastare, nella sua qualità di soggetto istituzionalmente preposto a controllare il rispetto delle nonne sulla discriminazione di genere ed a promuovere iniziative volte a realizzare le pari opportunità nel lavoro, ivi compresa, dunque, l'iniziativa giudiziaria, a tutela di un vero e proprio diritto soggettivo della stessa Consigliera di Parità, violato dalla commissione di quei reati aventi natura discriminatoria.

All'udienza preliminare si costituivano, dunque, sia le lavoratrici colpite d alla discriminazione, sia la loro Organizzazione Sindacale di appartenenza, sia la Consigliera Regionale di Parità.

A fronte dell'opposizione della difesa degli imputati alla costituzione di parte civile, sia dell'Organizzazione Sindacale, sia della Consigliere di Parità, il GUP, con una sintetica motivazione, aveva affermato che *gli scopi istituzionali nei rispettivi settori di competenza, da un lato le Associazioni Sindacali rispetto alla tutela della salute e della dignità personale dei lavoratori e dunque anche in proprio e dall'altra i Consiglieri di Parità regionali rispetto alla tutela ed anche alla promozione dei principi di pari opportunità e di non discriminazione sessuale tra uomini e donne nell'ambiente di lavoro, conferisce ad entrambi il diritto di costituirsi nei processi nei quali si ritengano violate norme poste a tutela di questi diritti, indipendentemente rivestita all'interno dell'ambiente di lavoro.".

La vicenda ebbe limitato risalto, poiché gli imputati definirono il procedimento a loro carico con il patteggiamento e, dunque, il GUP si limitò a liquidare alle parti civili costituite le spese di costituzione.

La vicenda, sotto il profilo penale, sembrava definita, ed invece uno degli imputati propose ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento solo ed esclusivamente in relazione all'avvenuta liquidazione delle spese di costituzione di parte civile, e nei confronti della sola Consigliera di Parità.

Grazie a questa impugnazione, pertanto, la Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere per la prima volta sull'ammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento penale da parte della Consigliera di Parità.

La Suprema Corte ha affrontato il problema sia della legitimatio ad causam sia quello della costituzione di parte civile della Consigliera di Parità, facendo valere un diritto iure proprio.

Sotto il primo profilo, la Cassazione ha stabilito che la legittimazione non è altro che il frutto di quanto disposto

dall'alt. 37 commi 1 e 2 D.Lvo 198/2006 che riconosce alla Consigliera di Parità il diritto a far valere in sede giudiziaria la pretesa volta a risarcimento del danno nei casi in cui si riscontri "l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo”'.

Dunque, si tratta di accertare se i comportamenti contestati agli imputati configurino comportamenti discriminatori, diretti o indiretti, rispetto ai quali il Codice delle Pari Opportunità attribuisce titolarità alla Consigliera di Parità.

Ed i comportamenti, nel caso in esame, consistevano nella pronuncia di frasi scurrili, di contenuto sessuale, nel continuoriferimento alle doti sessuali del molestatore, in ripetuteavances nei confronti delle dipendenti, pure recisamente respinte, cui faceva seguito la mancata concessione di permessi o ferie o l'affidamento di mansioni più gravose di quelle svolte dagli altri lavoratori, dunque in uno di quei comportamenti che ho sopra elencato.

La Cassazione Sez. VI penale, con la sentenza n. 266 del 5702/2009, ha ritenuto che tali fattispecie realizzino "indubbi comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso ed in ogni caso aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrìce ... e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo" così come previsto dall'alt. 26 comma 1 del Codice delle Pari Opportunità.

Non vi è, pertanto, dubbio che quei comportamenti, ritenuti integranti il reato di maltrattamenti, configurino una fattispecie nella quale la Consigliera può, ed anzi deve, intervenire.

Dalla commissione dei fatti di reato contestati agli imputati ed integranti la violazione delle norme che tutelano le lavoratrici dalle discriminazioni per ragioni di sesso, e quindi anche dalle molestie sessuali, deriva dunque una lesione dei diritti espressamente attribuiti dal legislatore alla Consigliera di Parità, nella sua qualità di titolare del diritto all'osservanza della normativa in materia.

Ma, come si diceva, la Suprema Corte è andata anche oltre, affermando, ed è la prima volta, per quanto mi risulta, che la Consigliera di Parità vanti un vero e proprio diritto soggettivo che la legittima alla costituzione di parte civile ture proprio.

Sul punto, la Corte Suprema afferma espressamente che "la Consigliera ... è legittimata a costituirsi parte civile, non quale ente rappresentativo di interessi diffusi ma quale "danneggiato" dal reato di maltrattamenti commessi nei confronti di più lavoratori, alfine di ottenere il ristoro del danno non patrimoniale

subito".

In altre parole, si tratta della trasposizione in sede penale di quell'azione civilistica che il Codice delle Pari Opportunità espressamente attribuisce alla Consigliera di Parità avanti il Tribunale del Lavoro o il TAR, in materia di pubblico impiego.

Se, cioè, la Consigliera di Parità è legittimata a ricorrere al Tribunale del Lavoro anche in materia di risarcimento danni da maltrattamenti - molestie di natura sessuale, non si vede ragione alcuna per cui la stessa non possa trasferire detta azione all'interno del procedimento penale nel frattempo insorto.

La Suprema Corte è andata persine oltre l'ipotesi residuale che avevo proposto come difensore, nel senso che avevo sostenuto che, in ogni caso, la legittimazione alla costituzione di parte civile della Consigliera di Parità fosse consentita dalla sua qualità di soggetto esponenziale di interessi diffusi, ma la Cassazione, come visto, ha accolto, addirittura, la tesi principale, tesa ad attribuire alla Consigliera di Parità la

posizione dì danneggiato in proprio.

La Suprema Corte, poi, affronta anche il tema del risarcimento del danno non patrimoniale, alla luce delle note decisioni delle Sezioni Unite dell'I I/11/2008, per giungere ad affermare che alla Consigliera di Parità spetta il diritto ad "ottenere il danno non patrimoniale iure proprio nell'ambito del processo penale per la realizzazione di diritti ed interessi che la legge espressamente le riconosce e tutela".

Dunque, non possono sorgere problemi nemmeno in relazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale della Consigliera di Parità, dal momento che la Suprema Corte ha ribadito che, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, il danno non patrimoniale è risarcibile, tra le varie possibili ipotesi, quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, e nel caso di specie, non solo i fatti apparivano configurabili come reato, ma il relativo procedimento si è concluso con una sentenza di applicazione della pena.

A ciò si può ulteriormente aggiungere, per completezza di trattazione, che i diritti delle donne sono stati considerati, sin dal 1995, dalla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne delle Nazioni Unite, diritti umani e la violenza sulle donne intesa come abuso, sopraffazione, limitazione delle libertà personali, disparità di trattamento e sottrazione di opportunità, violazione di diritti, rappresenta una violazione dei diritti fondamentale

della persona, con ripercussioni non solo personali, ma anche sociali e pubbliche.

Per completare la disamina della fattispecie specifica di cui ho trattato, posso aggiungere che successivamente, ed esattamente pochi giorni fa, si è definitivamente concluso anche il processo civile intentato dalle lavoratrici avanti il Giudice del Lavoro e nel quale la Consigliera di Parità è intervenuta, sia ad adiuvandum della posizione delle lavoratrici molestate, sia in proprio, azionando quel diritto, questa volta in sede civile, riconosciutole dalla Corte di Cassazione.

Ed in effetti, si è pervenuti ad una conciliazione della vertenza con il riconoscimento di una somma di denaro oltre che alle attrici, anche alla Consigliera di Parità, quale risarcimento del danno non patrimoniale dalla stessa subito e ciò costituisce la riprova piena dell'effettività del danno subito ture proprio dalla Consigliere di Parità.

Si è trattato, come detto, di una pronuncia della Cassazione estremamente importante perché innovativa sulle possibilità che la legge attribuisce alla Consiglerà di Parità, estendendole anche al campo penale.

La pronuncia si pone nel solco di una serie di decisioni che avevano riguardato, soprattutto nell'ultimo decennio, la possibilità di ingresso nel processo penale di associazioni, enti o organizzazioni sindacali, fino ad allora escluse in base ad un principio esclusivamente individualistico del danno, rispetto alle quali si è andato formando un indirizzo giurisprudenziale, ormai costante, che riconosce alle stesse, ed in particolare alle Organizzazioni Sindacali, il diritto a costituirsi parti civile non solo quali portatori di interessi collettivi, ma anche in proprio, a tutela dei diritti e dei principi in base ai quali le Organizzazioni Sindacali erano nate e che sono sanciti nei loro statuti.

Le recenti vicende dei processi Thyssen e Eternit, nei quali è stata ammessa la costituzione di parte civile delle organizzazioni sindacali, a Torino, ne sono la conferma, così come una recente sentenza del Tribunale di Chivasso che, in una vicenda relativa alla morte per amianto di 5 lavoratori, le cui famiglie, tra l'altro e ad ulteriore conferma che si discuteva di un diritto proprio delle Organizzazioni Sindacali, erano già state integralmente risarcite, ha riconosciuto e quantificato in 30.000,00 Euro il danno proprio dell'organizzazione sindacale, nonché alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione che hanno confermato non solo il diritto a costituirsi parte civile, ma anche l'esistenza di un vero e proprio danno ture proprio, liquidato dai Giudici di merito secondo equità.

E la posizione della Consigliere di Parità è, per certi versi, da considerarsi ancora più forte di quella delle Organizzazioni Sindacali e delle associazioni o enti, in quanto la sua legittimazione non deve nemmeno essere ricercata nella coincidenza tra gli interessi e i diritti violati e gli scopi statutari delle stesse, ma deriva direttamente, come ho precedentemente detto, dalla legge e si inserisce, pertanto, sul versante pubblico del danno determinato da atti discriminatori.

Dunque, all'interno di un procedimento penale per reati che concernano discriminazioni, quali i maltrattamenti e le molestie sessuali, la Consigliera di Parità può vantare il diritto al risarcimento dei danni:

- in relazione all'ingiusta ed illegittima lesione dei diritti all'applicazione delle norme per la salvaguardia dei lavoratori e delle lavoratrici dalle discriminazioni e dalle molestie, con particolare riguardo a quelle sessuali e per la conseguente tutela e garanzia della loro dignità e della loro personalità morale, per l'esercizio dei quali diritti i lavoratori e le lavoratrici si avvalgono, per espresse disposizioni legislative, della rappresentanza attribuita alla Consigliera di Parità;

- in relazione all'altrettanto ingiusta compromissione del diritto di liberamente perseguire gli scopi istituzionali di cui sopra, con conseguente lesione all'immagine ed alla credibilità dell'istituzione stessa, quale soggetto esponenziale ai fini sopra esposti della collettività dei lavoratori operanti sul suo territorio di competenza.

Non va trascurato, poi, che analogo diritto possono vantare quelle associazioni che annoverino tra i loro scopi statutari la difesa delle donne rispetto alle discriminazioni, violenze e molestie di genere: a questo proposito, mi piace ricordare come l'Associazione che presiedo, i Giuristi Democratici, sia stata ammessa come parte civile dal GUP di Perugia, in un procedimento per l'omicidio (o, per usare un termine che abbiamo contribuito a diffondere in Italia, femminicidio) di una giovane donna incinta da parte di suo marito; e ciò proprio stalla base della presenza nello Statuto di principi volti a tutela contro le discriminazioni di genere e della concreta attività svolta dall'associazione per perseguire quel fine specifico; solo un problema di mancanza del requisito della territorialità, e cioè della inesistenza, all'epoca dei fatti di una struttura associativa dei GD ha poi indotto la Corte d'Assise ad estromettere i Giuristi Democratici quale parte civile, ma ciò non toglie che il principio sia stato affermato.

Quell’ammissione, infatti, sta a rappresentare come il femminicidio e la violenza domestica non rappresentino solo un "fatto" di donne, ma costituisca una profonda ferita per la società, ferita contro cui, conscguentemente, possono agire autonomamente anche quelle associazioni che abbiano nel loro statuto la tutela della donna e che abbiano fattivamente operato in difesa di quella tutela.

Dunque, tutela personale, sociale e pubblica, nella quale rientra a pieno titolo la posizione della Consigliera di Parità.

Possiamo, pertanto, concludere che ci troviamo di fronte ad un opportuno ampliamento dei compiti e delle facoltà attribuite dalla legge alla Consigliera di Parità, con un consistente potenziamento della sua sfera di azione.

Una simile interpretazione consente di rendere maggiormente effettivo ed incisivo il compito della Consigliera di Parità di promuovere piani di azione positive e di promozione del principio di parità effettiva e si inserisce nel quadro di una rinnovata attenzione, sia da parte del legislatore italiano (peraltro, a ciò costretto dall'esistenza di Direttive comunitarie in tal senso), sia da parte della Magistratura, per uno degli aspetti fondamentali della persona umana, quale la discriminazione per motivi sessuali.

Proprio l'inserimento della molestia sessuale tra le discriminazioni per sesso, contenuto nell'art. 26 del D.Lvo

198/2006 consente di estendere la tutela della donna lavoratrice, sotto il profilo della discriminazione, anche a

fattispecie che ne erano precedentemente escluse.

Oggi, dunque, la Consigliera di Parità, in presenza di situazioni nelle quali siano compromessi diritti collettivi delle lavoratrici, ha di fronte a sé la possibilità di scegliere tra l'instaurazione di una causa civile nella quale richiedere il risarcimento del danno proprio, oltre ad appoggiare la pretesa risarcitoria della lavoratrice discriminata/molestata e l'ingresso nell'eventuale procedimento penale pendente, mediante la co stituzione di

parte civile.

E tutto ciò non può che portare ad una positiva valutazione circa la maggior sensibilità della magistratura nei confronti dei diritti umani ed in particolare nei confronti del principio di uguaglianza tra Ì generi.

Si tratta, ora, di dare seguito a questa apertura, sviluppando gli interventi della Consigliera di Parità in tutti quei procedimenti penali per reati che presentino caratteristiche discriminatorie, e, dunque, anche le molestie sessuali, con ovvio rafforzamento della posizione della singola ìavoratrice.

Mi è noto come, purtroppo, i budget a disposizione delle Consigliere di Parità siano stati ridotti nel tempo, con

un'evidente contraddizione rispetto all'ampliamento dei compiti voluto dalla nuova normativa di attuazione della Direttiva Europea 2006/54/CE, con ciò rendendo più complicato ed arduo il compito alla stessa affidato dalla legge, ma proprio l'ottenimento di un risarcimento ture proprio potrebbe consentire un maggior attivismo da parte della Consigliera, e dunque, in definitiva, anche una maggior attenzione alle problematiche della discriminazione di genere.

Torino, 14 aprile 2010.

Aw. Roberto Lamacchia

martedì 16 febbraio 2010

Le Raccomandazioni del Comitato per l'applicazione della CEDAW al Governo Italiano (2005)

CEDAW/C/ITA/CC/4-5
15 Febbraio 2005
Traduzione dall’originale in lingua inglese [1]
*0523853*

Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne.

Trentaduesima sessione
10-28 Gennaio 2005


Commenti conclusivi : Italia

1. Il Comitato ha analizzato il quarto e quinto rapporto[2] presentati dall’Italia (CEDAW/C/ITA/4-5) al 681 e 682esimo incontro del 25 Gennaio 2005.

Introduzione dello Stato Membro

2. Nell’introduzione, il rappresentante dello Stato membro evidenzia gli sforzi per riaffermare la dignità delle donne e proteggerle da ogni forma di discriminazione, abuso e violenza, a seguito della Piattaforma di azione di Beijing, che ha portato ad un rinnovato impegno per l’avanzamento dei diritti delle donne. Egli ha fornito un aggiornamento sugli sviluppi nelle quattro aree di interesse, a partire dalla situazione illustrata nel rapporto del 2002.
3. Nel 2003, erano state intraprese delle azioni per recepire a livello nazionale la Direttiva Europea 73/2002, che promuoveva prospettive di genere per favorire l’uguaglianza rispetto all’accesso al mercato del lavoro, all’educazione, alla formazione professionale, alle condizioni di lavoro e sociali.
La legislazione nazionale già vietava atti di discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso, e la Direttiva estende la definizione di discriminazioni sessuali e molestie sul luogo di lavoro, nonché le misure che i dipendenti possono intraprendere a fronte di tali atti di discriminazione
4. L’impegno dello Stato membro nel voler rendere operativa la Convenzione si è manifestato nel 1996 attraverso l’istituzione del Ministero per le Pari Opportunità, il quale è responsabile della coordinazione e dell’effettiva attuazione delle politiche sulle Pari Opportunità. Il mandato e gli obiettivi della Commissione nazionale per le Pari Opportunità, che ora è stata presieduta dal Ministro, inoltre sono stati riformati . Nel 2004, il ministero ha stabilito l'Ufficio nazionale per la promozione dell’ uguaglianza e l'eliminazione di ogni discriminazione razziale ed etnica come strumento operativo per combattere tutte le forme di discriminazione.
5. L'impegno del Governo nel favorire la partecipazione delle donne alla fase decisionale politica e socio-economica si è riflesso nell’emendamento dell'articolo 51 della costituzione, con il quale si è introdotto il principio della eguaglianza e non discriminazione sessuale nell'accesso alle cariche pubbliche.
La legge 90/2004 richiede che almeno 1/3 dei candidati per le elezioni al Parlamento Europeo siano donne. Ciò ha comportato un aumento notevole in donne elette nel mese di giugno del 2004 (19.23 per cento del totale rispetto all’ 11.5 per cento nel 1999), ci si aspetta una percentuale simile per le altre elezioni.
6. Nonostante le sfavorevoli condizioni dell’economia, l’occupazione femminile continua a crescere, così come la presenza delle donne nella forza-lavoro. Il tasso delle donne imprenditrici è aumentato del 3.7 per cento fra il 1998 e il 2003. Fra il 2000 e il 2003, il 63 per cento dei nuovi operai erano donne. Una nuova iniziativa, nel quadro delle azioni UE per la promozione dell’uguaglianza di genere, è volta a promuovere il ruolo delle donne lavoratrici. L'impegno del Governo per favorire la famiglia si è riflesso, inter alia, nell’adozione di un piano d'azione nazionale per l’inclusione sociale, che ha puntato sulla prevenzione dell’emarginazione di anziani,bambini e inabili. La cosiddetta “legge Biagi” , di riforma del mercato del lavoro, ha previsto nuove forme di flessibilità, specialmente sotto forma di lavoro part-time, puntando in tal modo su una maggiore conciliabilità tra lavoro ed esigenze familiari, e sulla promozione delle pari opportunità per le donne, specialmente nel posto di lavoro. Nel 2003 sono stati anche stanziati dei fondi per supportare le imprese che desiderassero creare servizi di asilo e baby-sitting sui posti di lavoro.
7. E’ stata accordata la massima priorità alla protezione delle donne da ogni forma di violenza e disposizioni rigorose sono state promulgate a tale scopo, comprese leggi e politiche concernenti la violenza sessuale, la violenza domestica e l'abuso di bambini. Gli sforzi per combattere la tratta di donne e bambine, sia attraverso la legge che i servizi sociali, restano la priorità principale. Ex art.18 della legge 286, i permessi di soggiorno per motivi di protezione si sono potuti concedere anche alle vittime di tratta. Il settanta per cento dei costi per i programmi di assistenza sono stati stanziati dal governo, il resto proviene dai bilanci degli enti locali. Questo modo di procedere si è dimostrato efficace. La legge 228 del 2003, che ha stabilito la tratta di esseri umani come crimine specifico, rispecchia le disposizioni già presenti nel Protocollo per la prevenzione del traffico di esseri umani.
8. La salute delle donne costituiva uno dei punti principali del Quarto Congresso Mondiale sulle Donne ed il governo ha attribuito la massima importanza a questo tema. Il programma in tema di salute (2002-2004) include iniziative per ridurre il numero di parti cesari ed il progetto obiettivo Madre-Bambino che mira a realizzare livelli di attenzione e cura adeguati per ogni nascita, per ogni parto. Il Parlamento sta esaminando un testo di legge che prevede un’assistenza personalizzata per le donne incinte, per salvaguardare i loro diritti mentre sono in aspettativa.
9. In conclusione, il rappresentante dello Stato membro ha notato che anche se non tutte le aspettative erano state soddisfatte, il governo si è impegnato a realizzarle, e nuove strategie e politiche sono state sviluppate per eliminare tutte le forme di discriminazione di genere e per promuovere e politiche che concretamente favoriscano le pari opportunità. Il dialogo con tutti i soggetti rilevanti, compresi gli attori politici, le organizzazioni non governative ed i partner sociali, hanno rappresentato il modo migliore e più espressivo promuovere i diritti delle donne.


Commenti Conclusivi del Comitato

Introduzione

10. Il comitato esprime il proprio apprezzamento allo Stato membro per aver presentato insieme il quarto e quinto rapporto periodico (CEDAW/C/ITA/4-5), anche se si rammarica del fatto che sia stato presentato in ritardo, e che siano stati fornite informazioni analitiche insufficienti a comprendere la situazione di fatto in cui versano le donne, e che lo Stato non abbia seguito nella redazione del rapporto le linee guida di riferimento del Comitato.
Il Comitato inoltre si rammarica del fatto che il Rapporto non includa le informazioni sugli articoli 8[3], 9[4], 15[5] e 16[6] della Convenzione sull'Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione contro le Donne, informazioni che erano state richieste ed erano presenti nell’elenco delle domande, ma che non sono state fornite dallo Stato nelle risposte scritte.
11. Il Comitato esprime il proprio apprezzamento allo Stato membro per il dialogo costruttivo, ma si rammarica che la delegazione non sia stata in grado di fornire risposte brevi, chiare e dirette alle domande poste dal Comitato.
12. Il Comitato si rammarica per lo scarso coinvolgimento delle ONG nella preparazione e nella stesura del Rapporto.

Aspetti positivi

13.
Il Comitato elogia lo Stato membro per l'emendamento apportato all’'articolo 51 della Costituzione che, come è stato dichiarato dalla delegazione, è il mezzo attraverso il quale i principi della Convenzione, assumendo valore costituzionale, costituiscono la base fondante l'utilizzo di misure speciali provvisorie, compreso l'uso delle quote rosa per accelerare l'aumento della partecipazione delle donne nella vita politica e pubblica.
14. Il Comitato si congratula con lo Stato membro per le riforme legislative effettuate negli anni precedenti per l'avanzamento delle donne, compresa la legge 66/1996 sulla violenza sessuale, la legge 53/2000 sul congedo parentale e legge 154/2001 sulle misure di protezione da applicarsi alle donne oggetto di tratta.
15. Il Comitato si congratula con lo Stato membro per la ratificazione del Protocollo Opzionale alla Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne nel settembre 2000, e anche per avere accettato l’emendamento all’art. 20, paragrafo 1[7], della Convenzione del maggio 1996.


Temi di principale preoccupazione per il Comitato e raccomandazioni

16.
Il Comitato fa notare l’obbligo dello Stato membro di attuare sistematicamente ed implementare costantemente tutte le misure della Convenzione. Al contempo, il Comitato ritiene che le preoccupazioni e raccomandazioni identificate nei presenti commenti conclusivi richiedano da parte dello Stato Membro un’attenzione prioritaria a partire da ora fino alla presentazione del prossimo rapporto periodico. Di conseguenza, il Comitato invita lo Stato membro a concentrarsi su questi temi nella sua attività di attuazione e di riferire sulle azioni intraprese e sui risultati ottenuti nel suo prossimo rapporto periodico. Invita altresì lo Stato membro a presentare i presenti commenti conclusivi a tutti i ministeri interessati e al Parlamento in modo da garantire la loro piena attuazione.
17. Il Comitato ritiene che lo Stato membro abbia preso misure inadeguate per attuare le raccomandazioni riguardo a varie preoccupazioni sollevate nei precedenti commenti conclusivi del Comitato adottati nel 1997. In particolare, il Comitato trova che le sue osservazioni sulla bassa partecipazione delle donne nella vita pubblica e politica (paragrafo 355), e la mancanza di programmi per combattere gli stereotipi attraverso il sistema scolastico e per incoraggiare gli uomini a prendersi le loro responsabilità e condividere i lavori domestici, siano state affrontate in maniera del tutto inadeguata.
18. Il Comitato ripropone tali temi fonte di preoccupazione e già oggetto di raccomandazioni, e sollecita con forza lo Stato membro a procedere senza ritardi alla loro attuazione.
19. Il Comitato esprime il proprio disappunto sul fatto che mentre l’emendamento all’art. 51 della Costituzione prevede le pari opportunità per uomini e donne, non vi è una definizione di discriminazione contro le donne, in base all’art. 1[8] della Convenzione, né nella Costituzione né nella legislazione, a parte che in materia di occupazione. Il Comitato è preoccupato dal fatto che la mancata previsione di tale specifica disposizione possa contribuire a far ritenere di limitata applicazione il concetto di parità sostanziale, come evidente nello Stato membro, anche tra i pubblici funzionari e la magistratura.
20. Il Comitato suggerisce che sia inclusa nella Costituzione o in leggi appropriate una definizione di discriminazione contro le donne in linea con l’art. 1 della Convenzione. Raccomanda anche l’attuazione di campagne di sensibilizzazione, affinché sorga non solo nell’opinione pubblica, ma soprattutto tra i funzionari pubblici, la magistratura e l’avvocatura, una maggiore consapevolezza circa l’esistenza ed il contenuto della Convenzione e gli obblighi dello Stato Membro in base alla Convenzione, e circa il significato e la portata della discriminazione contro le donne.
21. Pur riconoscendo gli sforzi dello Stato membro per apportare una prospettiva di genere in tutti i campi, il Comitato è preoccupato dell’assenza di meccanismi nazionali specifici per consentire l’avanzamento delle donne. Esso teme che, il fatto che l’operato del Ministero delle Pari Opportunità copra un certo numero di temi sulla la discriminazione, ciò possa portare all’attribuzione di una bassa priorità e alla scarsa attenzione alla natura specifica della discriminazione contro le donne ed alla sua importanza in tutti i campi dove essa è vietata. E’ anche preoccupato della erosione significativa dei poteri e delle funzioni della Commissione Nazionale per la Parità e per le Pari Opportunità.
22. Il Comitato suggerisce che lo Stato membro ponga in essere una struttura istituzionale che riconosca la specificità della discriminazione delle donne e che sia l’unica responsabile del progresso delle donne e del monitoraggio della realizzazione pratica del principio di parità sostanziale di uomini e donne nel godimento dei diritti umani. Al fine di ottenere ciò, il Comitato raccomanda il rafforzamento di una istituzione nazionale che monitori e renda effettivo il godimento da parte delle donne dei loro diritti umani in tutti i campi.
23. Il Comitato teme che la divisione su vari livelli dell’ autorità e delle competenze nello Stato membro possa generare difficoltà riguardo all’attuazione della Convenzione in tutto il Paese. Notando la piena responsabilità dei Governi nazionali negli Stati decentralizzati e federali nell’assicurare l’attuazione di obblighi internazionali da parte delle regioni, il Comitato si preoccupa dell’assenza di strutture nazionali appropriate, in grado di assicurare l’attuazione della Convenzione da parte di autorità e istituzioni regionali e locali.
24. Il Comitato raccomanda allo Stato membro di promuovere una uniformità legislativa e omogeneità di risultati nella attuazione della Convenzione in tutto il Paese, attraverso un coordinamento effettivo e la creazione di meccanismi per assicurare la piena attuazione della Convenzione da parte di tutte le autorità e istituzioni regionali e locali.
25. Permane la preoccupazione del Comitato sulla persistenza e pervasività dell’atteggiamento patriarcale e sul profondo radicamento di stereotipi inerenti i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia e nella società. Questi stereotipi minano alla base la condizione sociale delle donne, costituiscono un impedimento significativo alla attuazione della Convenzione, e sono all’origine della posizione di svantaggio occupata dalle donne in vari settori, compreso il mercato del lavoro e la vita politica e pubblica. Il Comitato è profondamente preoccupato anche dalla rappresentazione che viene data delle donne da parte dei mass media e della pubblicità, per il fatto che viene ritratta come oggetto sessuale e in ruoli stereotipati.
26. Il Comitato chiama lo Stato membro ad adottare un programma su larga scala, onnicomprensivo e coordinato, per combattere la diffusa accettazione di ruoli stereotipati di uomini e donne, incluse campagne di sensibilizzazione ed educative rivolte a donne e uomini, per cercare di favorire l’eliminazione di stereotipi associati ai ruoli tradizionali di uomini e donne nella famiglia e nella società in senso lato, in conformità con gli articoli 2(f)[9] e 5(a)[10] della Convenzione. Raccomanda che lo Stato membro faccia ogni sforzo per diffondere informazioni sulla Convenzione, sia tra gli attori pubblici che privati, al fine di accrescere la sensibilizzazione e la comprensione del significato e del contenuto del concetto di uguaglianza sostanziale delle donne. Raccomanda inoltre che i mass media e le agenzie pubblicitarie siano indotte ed incoraggiate a proiettare un’immagine delle donne come partner alla pari in tutte gli ambiti della vita e che ci si sforzi andando verso la stessa direzione, al fine di modificare la percezione delle donne come oggetti sessuali, e come responsabili in via principale della crescita dei figli.
27. Pur apprezzando il maggior numero di donne italiane al Parlamento Europeo, il Comitato rimane profondamente preoccupato per la grave sotto-rappresentanza delle donne nelle cariche politiche e pubbliche, compresi gli enti elettivi, la magistratura, e a livello internazionale. Il Comitato mostra in particolare il proprio rammarico e la propria preoccupazione per il fatto che la partecipazione politica delle donne a livello nazionale sia diminuita negli ultimi anni e rimane tra le più basse in Europa.
28. Il Comitato incoraggia lo Stato membro a intraprendere misure consistenti per incrementare la rappresentanza delle donne nelle cariche elettive, nell’assegnazione di incarichi istituzionali, nella magistratura e a livello internazionale. Raccomanda che lo Stato membro introduca misure appropriate, incluse misure speciali temporanee in conformità all’art. 4, par. 1[11], della Convenzione e alla raccomandazione generale 25 del Comitato, al fine di aumentare il numero di donne elette o che ricoprono pubblici incarichi. Incoraggia ulteriormente lo Stato Membro a velocizzare gli sforzi per l’approvazione della legge in base all’art. 51 della Costituzione per aumentare il numero di donne aventi cariche politiche e pubbliche, anche attraverso l’utilizzo delle quote, e di assicurare un’adeguata rappresentanza in tali cariche di donne ROM ed immigrate, e di donne dal Meridione. Il Comitato raccomanda che lo Stato membro effettui delle campagne di sensibilizzazione tra uomini e donne sull’importanza della partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica e ai processi decisionali, e che si impegni a per creare condizioni che rendono possibile, incoraggino e supportino tale partecipazione.
29. Pur notando un netto aumento del tasso di occupazione tra le donne, il Comitato si preoccupa dei gravi svantaggi che le donne devono affrontare nel mercato del lavoro, tra le quali la sotto-rappresentazione delle donne in posizioni di rilievo, la maggior presenza di donne in alcuni settori sottopagati e nel lavoro part-time, il significativo divario salariale tra uomini e donne e la mancanza di attuazione del principio di parità salariale per uguali mansioni e carichi di lavoro. Pur notando che la legge 53/2000 riconosce il diritto di entrambi i genitori ad usufruire di un congedo dal lavoro per accudire un figlio nella prima infanzia, il Comitato teme che solo una percentuale molto piccola di uomini si avvantaggerà di tale opportunità.
30. Il Comitato sollecita lo Stato membro ad accelerare ed assicurare pari opportunità per uomini e donne nel mercato del lavoro, attraverso, tra l’altro, misure speciali temporanee in conformità all’art. 4, par. 1 della Convenzione e alla raccomandazione generale 25 del Comitato, e altresì sollecita ad assicurare una pari retribuzione per lavoro di pari valore. Raccomanda inoltre che lo Stato Membro estenda in toto le indennità di previdenza sociale ai lavoratori part-time, che sono perlopiù donne, e intraprenda misure per eliminare la segregazione lavorativa, in particolare attraverso l’istruzione e la formazione. Inoltre il Comitato sollecita lo Stato membro a fornire maggiore accesso all’impiego a tempo pieno (full-time)per le donne, e a migliorare la disponibilità di strutture infantili accessibili economicamente, e ad incoraggiare gli uomini, anche attraverso campagne di sensibilizzazione, ad assumersi pari responsabilità nella cure dei figli.
31. Il Comitato, pur tenendo in considerazione le riforme legislative in materia di violenza contro le donne, è preoccupato per la persistenza della violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, e per l’assenza di una strategia globale per combattere tutte le forme di violenza contro le donne. Pur riconoscendo gli sforzi fatti dallo Stato membro per combattere la tratta di donne, il Comitato si preoccupa tuttavia dell’impatto su tali politiche della legge 189/2002 (legge "Bossi-Fini"), che concede potere discrezionale alle autorità locali di porre in essere restrizioni anche per le vittime di tratta e di permessi di emettere o meno il permesso di soggiorno.
32. Il Comitato sollecita lo Stato Membro ad accordare un’attenzione prioritaria all’adozione di misure onnicomprensive per affrontare la violenza contro le donne e le bambine in conformità alla relativa raccomandazione generale 19 sulla violenza contro le donne. Il Comitato sottolinea la necessità di attuare appieno e monitorare l’efficacia delle leggi sulla violenza sessuale e domestica, di fornire centri d’accoglienza, servizi di protezione e consultori per le vittime, punire e riabilitare i colpevoli, e provvedere alla formazione e sensibilizzazione dei pubblici funzionari, della magistratura e del pubblico. Il Comitato incoraggia altresì lo Stato Membro a ripensare la legge 189/2002, attraverso modifiche volte ad assicurare che tutte le vittime di tratta beneficino dei permessi di soggiorno per motivi di protezione sociale.
33. Il Comitato esprime il proprio rammarico per il fatto che il rapporto contenga dati e informazioni insufficienti sull’impatto delle politiche sanitarie sulle donne, in particolar modo rispetto all’impatto della privatizzazione della sanità sulla salute femminile, e rispetto all’efficacia delle iniziative intraprese per ridurre i parti cesarei e per la prevenzione del cancro. Il Comitato è preoccupato della mancanza di dati e di informazioni analitiche sull’assistenza alle donne anziane e sull’assistenza sanitaria disponibile per le donne nel Sud del Paese.
34. Il Comitato richiede allo Stato membro di monitorare l’impatto delle proprie politiche sanitarie sulle donne, compreso il Piano Sanitario Nazionale, e di fornire nel suo prossimo rapporto informazioni statistiche ed analisi dettagliate sulle misure adottate per migliorare la salute delle donne, compreso l’impatto di tali misure, in conformità con la raccomandazione generale 24 del Comitato sulle donne e la salute. Il Comitato richiede inoltre allo Stato membro di fornire informazioni sull’assistenza alle donne anziane, sulle politiche sanitarie in atto per le donne del Sud e sulle politiche di prevenzione della trasmissione dell’AIDS tra adulti, compreso l’impatto di dette misure.
35. Il Comitato è preoccupato del fatto che alcuni gruppi di donne, tra cui le ROM e le immigrate, si trovino costrette in una posizione vulnerabile ed emarginata, specialmente per quanto riguarda l’istruzione, l’impiego, la salute e la partecipazione alla vita pubblica e ai processi decisionali. Il Comitato è in particolar modo preoccupato dell’impatto della legge 189/2002, che impone ampie restrizioni alle donne immigrate lavoratrici, e teme per l’assenza di leggi e politiche atte a disciplinare lo status dei richiedenti asilo e dei rifugiati, in particolar modo per il mancato riconoscimento di forme di persecuzione correlate al genere quale motivazione possibile per l’ottenimento dello status di rifugiato.
36. Il Comitato sollecita lo Stato membro affinchè adotti misure concrete per l’eliminazione della discriminazione contro quei gruppi di donne maggiormente vulnerabili, tra cui le ROM e le immigrate, e affinché promuova il rispetto nei riguardi dei loro diritti umani con tutti i mezzi disponibili, comprese misure speciali temporanee in conformità all’art. 4, par. 1, della Convenzione e con la raccomandazione generale 25 del Comitato. Esso inoltre chiama lo Stato membro a fornire, nel suo prossimo rapporto periodico, un quadro globale della situazione in concreto delle donne ROM ed immigrate n per quanto riguarda il loro accesso all’istruzione, all’impiego, alla salute e alla partecipazione nella vita politica e pubblica. Il Comitato inoltre chiama lo Stato membro a riconsiderare le misure adottate con la legge 189/2002, per rimuovere le restrizioni che attualmente gravano sulle donne immigrate, e ad adottare leggi ed a promuovere politiche atte a riconoscere l’esistenza di forme di persecuzione correlate al genere quale motivo per il quale sia possibile accedere allo status di rifugiato.
37. Il Comitato richiede allo Stato membro di rispondere in merito alle preoccupazioni espresse nei presenti commenti conclusivi nel suo prossimo rapporto periodico che, sulla base dell’art. 18 della Convenzione, è da presentarsi nel 2006.
38. Il Comitato richiede allo Stato membro di assicurare un’ampia partecipazione di tutti i ministeri ed enti pubblici nella fase preparatoria del suo prossimo rapporto, e di consultare le ONG. Esso incoraggia lo Stato membro a coinvolgere il Parlamento in una discussione del rapporto prima di sottoporlo al Comitato.
39. Tenendo conto delle dimensioni che le questioni di genere occupano nelle dichiarazioni, programmi e nelle piattaforme di azione adottate dalle relative conferenze, summit e sessioni speciali delle Nazioni Unite, così come nella sessione speciale dell’Assemblea Generale per la revisione e valutazione dell’attuazione del Programma di Azione della Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (ventunesima sessione speciale), nella sessione speciale dell’Assemblea Generale sui bambini (ventisettesima sessione speciale), nella Conferenza Mondiale contro il razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e le Intolleranze correlate e e nella Seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento, il Comitato richiede allo Stato membro di includere nel suo prossimo rapporto periodico informazioni sull’attuazione degli aspetti di quei documenti correlati ai temi dei relativi articoli della Convenzione.
40. Il Comitato rileva l’adesione della maggior parte degli Stati membri ai sette maggiori strumenti internazionali per la tutela dei diritti umani, cioè il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (CESCR), il Patto Internazionale sui Diritti Politici e Civili (CCPR), la Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale (CERD), la Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW), la Convenzione contro la Tortura ed altri trattamenti o Punizioni Crudeli, Inumani, o Degradanti (CAT), la Convenzione sui Diritti del Bambino (CRC), la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Immigrati e dei loro Familiari (MWC), che contribuisce a rafforzare il godimento da parte delle donne dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali in tutti gli aspetti della vita. Di conseguenza, il Comitato incoraggia il Governo italiano a considerare la ratifica del trattato del quale non è ancora sottoscrittore, cioè la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Immigrati e dei loro Familiari.
41. Il Comitato richiede un’ampia diffusione in Italia dei presenti commenti conclusivi al fine di rendere i cittadini, compresi i funzionari di governo, i politici, i parlamentari e le organizzazioni di donne e di diritti umani, consapevoli dei passi avanti che sono stati fatti per assicurare, di fatto e di diritto, la parità delle donne, nonché degli ulteriori passi necessari a tal proposito. Il Comitato richiede allo Stato membro di continuare a diffondere ampiamente, in particolare presso le organizzazioni di donne e di diritti umani, la Convenzione, il suo Protocollo Opzionale, le raccomandazioni generali del Comitato, la Dichiarazione e la Piattaforma di Azione di Pechino, e l’esito della 23a sessione speciale della Assemblea Generale, intitolata "Donne 2000: parità di genere, sviluppo e pace per il ventunesimo secolo".





[1]Il testo originale è consultabile sul sito :
http://www.un.org/womenwatch/daw/cedaw/cedaw32/conclude-comments/Italy/CEDAW-CC-ITA-0523853E.pdf
La traduzione è di Barbara Spinelli
[2] Il Rapporto è disponibile in Italiano sul sito http://www.pariopportunita.gov.it/DefaultDesktop.aspx?doc=471 , quello che purtroppo non era invece disponibile fino ad oggi è la traduzione in italiano delle Raccomandazioni del Comitato.
[3] Articolo 8 : Gli Stati parti prendono ogni misura adeguata affinché le donne, in condizione di parità con gli uomini e senza discriminazione alcuna, abbiano la possibilità di rappresentare i loro governi a livello internazionale e di partecipare ai lavori delle organizzazioni internazionali.

[4] Articolo 9 :
1. Gli Stati parti accordano alle donne diritti uguali a quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione della cittadinanza. In particolare, garantiscono che né il matrimonio con uno straniero, né il mutamento di cittadinanza del marito nel corso del
matrimonio possa influire automaticamente sulla cittadinanza della moglie, sia rendendola apolide sia trasmettendole la cittadinanza del marito.
2. Gli Stati parti accordano alla donna diritti uguali a quelli dell'uomo in merito alla cittadinanza dei loro figli.

[5] Articolo 15 :
1. Gli Stati parti riconoscono alla donna la parità con l'uomo di fronte alla legge.
2. Gli Stati parti riconoscono alla donna, in materia civile, una capacità giuridica identica a quella dell'uomo e le medesime possibilità di esercitare tale capacità. Le riconoscono in particolare diritti eguali per quanto concerne la conclusione di contratti e l'amministrazione
dei beni, accordandole il medesimo trattamento in tutti gli stadi del procedimento giudiziario.
3. Gli Stati parti convengono che ogni contratto e ogni altro strumento privato, di qualunque tipo esso sia, avente un effetto giuridico diretto a limitare la capacità giuridica della donna, deve essere considerato nullo.
4. Gli Stati parti riconoscono all'uomo e alla donna i medesimi diritti nel campo della legislazione relativa al diritto che ogni individuo ha di circolare liberamente e di scegliere la propria residenza o domicilio.

[6] Articolo 16
1. Gli Stati parti prendono tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio, e nei rapporti familiari e, in particolare, assicurano, in condizioni di parità con gli uomini:
a) lo stesso diritto di contrarre matrimonio;
b) lo stesso diritto di scegliere liberamente il proprio congiunto e di contrarre matrimonio soltanto con libero e pieno consenso;
c) gli stessi diritti e le stesse responsabilità nell'ambito del matrimonio e nell'ambito del suo scioglimento;
d) gli stessi diritti e le stesse responsabilità come genitori, indipendentemente dalla situazione matrimoniale, nelle questioni che si riferiscono ai figli. In ogni caso, l'interesse dei figli sarà la considerazione preminente;
e) gli stessi diritti di decidere liberamente, e con cognizione di causa, il numero e l'intervallo delle nascite, e di accedere alle informazioni, all'educazione ed ai mezzi necessari per esercitare tali diritti;
f) i medesimi diritti e responsabilità in materia di tutela, curatela, affidamento ed adozione di minori, o simili istituti allorché questi esistano nella legislazione nazionale. In ogni caso, l'interesse dei fanciulli sarà la considerazione preminente;
g) gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome, di una professione o di una occupazione;
h) gli stessi diritti ad ambedue i coniugi in materia di proprietà, di acquisizione, gestione, amministrazione, godimento e disponibilità dei beni, tanto a titolo gratuito quanto oneroso.
2. I fidanzamenti ed i matrimoni tra fanciulli non avranno effetto giuridico e tutte le misure necessarie, comprese le disposizioni legislative, saranno prese al fine di fissare un'età minima per il matrimonio, rendendo obbligatoria l'iscrizione del matrimonio su un registro ufficiale.



[7] Il Comitato si riunisce di norma per un periodo di due settimane al massimo ogni anno per esaminare i rapporti presentati ai sensi dell’art. 18 della presente Convenzione.

[8] Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “discriminazione contro le donne” sta ad indicare ogni distinzione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo.

[9] Articolo 2: Gli Stati parte condannano la discriminazione contro le donne in ogni sua forma, convengono di perseguire, con ogni mezzo appropriato e senza indugio, una politica tendente ad eliminare la discriminazione contro le donne, e, a questo scopo, si impegnano a:
a)iscrivere nella loro costituzione nazionale o in ogni altra disposizione legislativa appropriata, il principio dell’uguaglianza tra uomo e donna, se questo non è ancora stato fatto, e garantire per mezzo della legge, o con ogni altro mezzo appropriato, la realizzazione pratica di tale principio;
b)adottare appropriate misure legislative e di altra natura, comprese, se del caso, quelle di natura sanzionatoria, per proibire ogni discriminazione nei confronti delle donne;
c)instaurare una protezione giuridica dei diritti delle donne su un piede di parità con gli uomini al fine di garantire, attraverso i tribunali nazionali competenti ed altre istituzioni pubbliche, un’efficace protezione delle donne contro ogni atto discriminatorio;
d)astenersi da qualsiasi atto o pratica discriminatoria contro le donne e garantire che le autorità e le istituzioni pubbliche agiscano in conformità con tale obbligo;
f)prendere ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione contro le donne da parte di qualsivoglia persona, organizzazione o impresa;
g)prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni di legge, per modificare o abrogare ogni legge, regolamento, consuetudine e pratica che costituisca discriminazione contro le donne;
h)abrogare dalla normativa nazionale tutte le disposizioni penali che costituiscono discriminazione contro le donne.

[10] Articolo 5:Gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata per:
a)modificare gli schemi ed i modelli di comportamento sociali e culturali degli uomini e delle donne, al fine di ottenere l’eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, basate
sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso, o sull’idea dei ruoli stereotipati degli uomini e delle donne,
b) far sì che nell’educazione familiare sia integrata una comprensione del ruolo sociale della maternità ed il riconoscimento della responsabilità comune di uomini e donne nell’allevamento e nella crescita dei figli, restando inteso che l’interesse dei figli è in ogni caso la considerazione principale.

[11] Articolo 4: Non va considerata discriminazione, ai sensi della definizione indicata nella presente Convenzione, l’adozione da parte degli Stati parte di misure temporanee speciali finalizzate ad accelerare l’uguaglianza di fatto tra uomini e donne; tali misure, tuttavia, non devono in alcun modo dar luogo al permanere di norme disuguali o distinte, e devono essere abrogate non appena raggiunti i loro obiettivi in materia di uguaglianza di opportunità e di trattamento.
L’adozione da parte degli Stati parte di misure speciali, comprese le misure previste dalla presente Convenzione, finalizzate a proteggere la maternità, non è considerata un atto discriminatorio.