venerdì 27 gennaio 2012

L'ONU all'Italia: niente tagli anticrisi sulla pelle delle donne

di Luisa Betti
27.01.2012

di Luisa Betti, Antiviolenza


27 gennaio 2012

La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza di genere in missione a Roma per esaminare l'inquietante "caso Italia". La questione della violenza domestica e le raccomandazioni al governo.
Le donne italiane fanno sentire la loro voce: a Roma, Milano, Bologna, Napoli, Catania. Non ce la fanno più a vedersi rappresentate come pin-up col culo per aria, a lavorare di più e guadagnare meno, a sottostare alle prepotenze maschili in casa e fuori casa, a essere considerate delle bambole di carne senza cervello; e hanno dichiarato guerra a chi le discrimina, le violenta, le uccide.

Ieri è stata una giornata intensa per queste donne: perché mentre in diverse città si preparavano fiaccolate in ricordo di Stefania Noce, uccisa dall’ex fidanzato a coltellate il 26 dicembre scorso, e di tutte le donne uccise in questi mesi, Rachida Manjoo, esperta indipendente incaricata dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per il monitoraggio della violenza contro le donne nel mondo, concludeva la sua visita ufficiale nel nostro paese dando ai giornalisti/e presenti ieri alla Sioi (Società italiana per l'organizzazione internazionale di Roma), un'anteprima del rapporto che presenterà a giugno alla 20a sessione del Consiglio dei Diritti Umani.

Un rapporto che arriva dopo il grande e intenso lavoro della Piattaforma “Lavori in corsa – 30 anni CEDAW”, (Actionaid, Arci, Pangea, Differenza donna, Be Free, Casa internazionale delle donne, Fratelli dell'uomo, Giuristi democratici e Le9) che a luglio ha presentato alle Nazioni Unite a New York il suo “Rapporto ombra” sulla situazione delle donne italiane. Una settimana fa la Piattaforma ha presentato il Rapporto ombra anche a Montecitorio, grazie all’on. Rosa Calipari, portando a Roma Violeta Neubauer, rappresentante Cedaw (Comitato Onu che vigila sull’applicazione della Convenzione internazionale per l’eliminazione delle discriminazione nei confronti delle donne), che ha bacchettato a dovere le istituzioni italiane per la loro inadempienza e il forte ritardo nel rispetto della Convenzione Internazionale ratificata dall’Italia 27 anni fa.

Un lavoro, quello della Piattaforma, fatto da donne italiane che si sono indebitate per far conoscere la nostra situazione e che per la visita di Rashida Manjoo si sono mobilitate, insieme a tutte le associazioni, per far vedere alla relatrice dell’Onu la nostra realtà.

La cosa importante infatti non sono tanto i dati, che più o meno conoscevamo, riguardo la violenza, quanto la portata dell’evento: è la prima volta che una inviata speciale dell’Onu sulla violenza di genere si è dedicata alla situazione italiana, esaminandone gli aspetti più inquietanti e dialogando con le istituzioni, per portare poi il caso al Congresso sui diritti umani di giugno.

Rashida Manjoo si è soffermata su diversi punti, primo tra tutti la violenza domestica che si rivela come “la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne italiane”, cioè la più diffusa e la più capillare, presente tra il 70 e l’87% dei casi (i dati non sono mai precisi perché i dati ufficiali, quando ci sono, non coincidono quasi mai con quelli delle associazioni che lavorano sul territorio), in cui le donne “non denunciano e non segnalano” sia perché sono all’interno di un “contesto culturale patriarcale incentrato sulla famiglia” con forte dipendenza economica della donna, sia perché la percezione riguardo alle istituzioni non è quella di uno Stato che protegge le donne, ma al contrario le espone in “un quadro giuridico frammentario con inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime, fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema”.

“Sulla violenza domestica – continua Manjoo – è doverosa una sensibilizzazione forte perché questa violenza non viene ancora percepita come un reato e un danno, e viene troppe volte considerata normale all’interno della famiglia. Una cosa che avviene sia nei nuclei italiani che tra le minoranze presenti nel paese e in entrambi i casi le donne non si sentono tutelate né all’interno delle mura domestiche né dallo Stato, in un contesto culturale in cui spesso non si rendono conto di quello che succede perché non ne hanno piena consapevolezza”. Una violenza che anche agli occhi della relatrice dell’Onu non è slegata dal resto perché, afferma, “se nella società e nei media la donna viene rappresentata in maniera riduttiva e viene considerata esclusivamente come oggetto sessuale e come madre, si crea un terreno fertile per discriminazione e violenza di genere”.

Ma cosa fa il nostro governo rispetto a un quadro così chiaro? Rashida Manjoo, durante la conferenza stampa, è rimasta sorpresa di alcuni fatti: il primo, di non aver incontrato donne provenienti dal Nord Africa nei Cie: “Che fine hanno fatto tutte le donne che sono sbarcate in Italia? Alcune le ho incontrate ai centri antiviolenza, altre in carcere, e il resto?”; secondo, di aver appreso che da noi c’è una nuova legge, passata alla Camera ma ancora in sospeso, per cui i bambini possono stare in carcere con le mamme non più fino ai tre ma fino ai sei anni: “Non mi sembra una buona idea, i bambini devono vivere in una casa e andare a scuola, perché non si applicano pene alternative come la detenzione domiciliare?”. Perplessità legittime in un paese civile. Ma l’Italia è civile? Perché in un paese in cui viene ormai uccisa una donna ogni due giorni per motivi di genere (cioè in quanto donna) e per la maggior parte per mano di un partner o di un ex, non c’è un piano efficace di sostegno ai centri antiviolenza, dato che la maggior parte di questi femmicidi si consuma in famiglia ed è preceduta da ripetuti episodi di violenza domestica?

“Nei centri antiviolenza che ho visitato – chiarisce la relatrice speciale dell’Onu - c’è tutto quello che occorre a una donna che subisce violenza: sostegno psicologico, assistenza legale specializzata, accudimento delle donne e dei bambini che sono presenti. Ma il problema è che queste associazioni non sono finanziate in maniera costante soprattutto dagli enti locali e molto lavoro viene fatto a livello volontario. Una situazione che io stessa ho sottolineato al governo italiano perché se la forte competenza di questi centri non viene sostenuta economicamente, tutto il patrimonio di questo lavoro che si è accumulato negli anni rischia di andare perso”.

La piattaforma, insieme all’Associazione nazionale Dire (Donne in rete contro la violenza) ha promosso oggi, a ridosso dela conferenza, un messaggio in cui si chiede alle istituzioni, oltre alla ratifica della Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne di Istanbul (vergognoso che l’Italia non l’abbia ancora almeno firmata) e all’applicazione reale della Convenzione internazionale per l'eliminazione delle discriminazione nei confronti delle donne, anche il varo di “una legge che definisca la violenza di genere in tutte le sue forme prendendo atto delle raccomandazioni Cedaw al governo italiano” e “un impegno particolare nell’applicazione della Convenzione internazionale, che coinvolga gli enti locali che dovranno mantenere un costante sostegno economico ai centri antiviolenza italiani”.

Il messaggio al governo italiano sulla “questione femminile” è stato quindi, in questi giorni, chiaro e netto da più parti, e nel caso ci fosse qualche dubbio la stessa relatrice speciale ha precisato che “l’attuale situazione politica ed economica dell'Italia non può essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo Paese. Le sfide sono ancora tante, e tra queste la piena ed effettiva partecipazione delle donne al lavoro e alla sfera politica”.

giovedì 26 gennaio 2012

Oggi conferenza stampa conclusiva della visita ufficiale in Italia della Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne Rashida Manjoo

(ANSA)
La violenza sulle donne "resta un problema in Italia": l'accusa giunge oggi dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, al termine di una missione conoscitiva, la prima di questo tipo in Italia.
L'inviata dell'Onu ha puntato il dito sulla violenza e la situazione carceraria, e ha esortato a non utilizzare la crisi economica del Paese come alibi per il calo di risorse a attenzione su questo grande problema.
"Con dati statistici che vanno dal 70% all'87% - ha detto - la violenza domestica risulta essere la forma di violenza piu' pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese". Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner, ha detto, sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010, e gran parte delle violenze non viene denunciato, a causa del "contesto patriarcale e incentrato sulla famiglia" in cui la donna vive ancora in Italia. La violenza domestica, inoltre, non viene sempre percepita come reato. Per di piu', "un quadro giuridico frammentario e l'inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilita' che circonda questo tema".
Quanto ai penitenziari, la relatrice dell'Onu ha riferito di essere stata informata sulle difficolta' di accesso allo studio e al lavoro, "riconducibili alla mancanza di risorse e alle pratiche discriminatorie da parte del personale delle strutture carcerarie" e della "disparita' di trattamento da parte di alcuni giudici di sorveglianza nel riesame delle sentenze per la scarcerazione anticipata delle detenute che soddisfano i requisiti per le misure alternative al carcere".
Inoltre, "i problemi che affrontano le detenute con figli minori all'interno e fuori dal carcere dovrebbero essere presi in esame e, ove possibile, occorre valutare eventuali pene alternative". Manjoo si e' detta contraria alla possibilita' di far restare con le mamme in carcere i figli fino a 6 anni (ora e' fino a tre): "so che se ne sta discutendo in Italia ma non e' una buona idea, invito a riflettere bene su questo punto".
Manjoo ha applaudito alle azioni intraprese di recente come la legge sullo stalking, i piani d'azione nazionali sulla violenza contro le donne e il Piano nazionale per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Tuttavia, ha aggiunto, "le sfide sono ancora tante" e tra queste "la piena ed effettiva partecipazione delle donne al lavoro e alla sfera politica".
"Il quadro politico e giuridico frammentario e la limitatezza delle risorse finanziarie per contrastare la violenza sulle donne, infatti - ha detto - ostacolano un'efficace ottemperanza dell'Italia ai suoi obblighi internazionali".
"L'attuale situazione politica ed economica dell'Italia non puo' essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo Paese" ha concluso, invitando "tutte le parti coinvolte ad assumersi la responsabilita' di promuovere i diritti umani per tutti e a far si' che la violenza contro le donne rimanga tra le priorita' dell'agenda nazionale". (ANSA).

giovedì 19 gennaio 2012

Donne in retromarcia: il rapporto ombra Cedaw

GABBIA DI SGUARDI Intervento di Barbara Spinelli

Violenza sulle donne, femminicidio in aumento in Italia

“Rapporto Ombra”. La violenza maschile prima causa di morte per le donne in Ue e nel mondo. Più 6,7% nel 2010 rispetto al 2009: 127 donne uccise in un anno, per 114 l’assassino è un familiare. Calipari (Pd): "Allentare la morsa discriminatoria. Piano nazionale antiviolenza, legge su dimissioni in bianco e cambiare la legge elettorale"

di Redattore  Sociale

ROMA – La violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne in tutta Europa e nel mondo. Nel nostro continente ogni giorno 7 donne vengono uccise dai propri partner o ex partner. In Italia solo nel 2010 i casi di femminicidio sono stati 127: il 6,7% in più rispetto all’anno precedente. Di queste, 114 sono state uccise da membri della famiglia. In particolare, 68 sono state uccise dal partner e 29 dall’ex partner. Dunque, in più della metà dei casi il femmicidio è stato commesso nell’ambito di una relazione sentimentale, in corso o appena terminata, per mano del coniuge, convivente, fidanzato o ex. La maggior parte delle vittime è italiana (78%), così come la maggior parte degli uomini che le hanno uccise (79%). Solo una minima parte di questi delitti è avvenuta per mano di sconosciuti. Nella restante parte dei casi è avvenuto per mano di un altro parente della vittima o comunque di persona conosciuta. E’ uno degli aspetti più delicati su cui si concentra il “Rapporto Ombra” della società civile sulla condizione delle donne in Italia.

“I media spesso presentano i casi di femmicidio come frutto di delitti passionali, di un’azione improvvisa ed imprevedibile di uomini vittime di raptus e follia omicida – si legge nel rapporto - In realtà questi sono l’epilogo di un crescendo di violenza a senso unico e generalmente sono causati da un’incapacità di accettare le separazioni, da gelosie, da un sentimento di orgoglio ferito, dalla volontà di vendetta e punizione nei confronti di una donna che ha trasgredito a un modello comportamentale tradizionale”. Un ruolo che in Italia è ancora relegato a quello di madre e moglie, oppure di oggetto del desiderio sessuale. Secondo il rapporto, nel momento in cui la donna italiana cerca di uscire da questi schemi, nasce il rifiuto del partner maschile alla sua emancipazione “che si trasforma in forme di controllo economico, di violenza psicologica, di violenza fisica, e che può arrivare fino all’uccisione della donna”, secondo gli autori del rapporto.

A influire negativamente in termini legislativi son anche i tempi troppo lenti per ottenere il divorzio in un paese come il nostro. Devono trascorrere tre anni dalla prima udienza di richiesta di separazione per poter richiedere il divorzio. In questo lasso di tempo si intensificano gli atti di violenza. Spesso l’ex marito non si rassegna all’allontanamento dell’ex moglie e mette in atto “atteggiamenti persecutori e di controllo con un uso della forza nei confronti della donna e che possono portare sino all’omicidio della stessa”.

In Italia manca un’unica definizione legislativa delle discriminazioni di genere, che rispecchi quella già presente delle direttive europee. La bocciatura in Parlamento della legge contro l’omofobia ha lasciato un vuoto legislativo ancora aperto. “Se fosse stata approvata una legge di tutela dalle discriminazioni e dalla violenza indipendentemente dal genere di appartenenza e dalla propria scelta sessuale – si legge ancora nel rapporto - sicuramente si sarebbero potuti prevenire molti casi di aggressioni contro gay, lesbiche, transessuali e intersessuali che si sono verificati negli ultimi anni”.

Sullo stereotipo nei confronti della donna come forma di discriminazione, arriva il mea culpa dell’onorevole Benedetto Della Vedova (Fli) che ha partecipato al dibattito nella sala Mappamondo sul rapporto Onu Cedaw. “Credo che la classe politica abbia le sue responsabilità – ha detto – è bene che in Italia nei prossimi 10 anni si subisca un po’ di ‘politically correct’ perché abbiamo debordato oltre i limiti fisiologici”. Secondo l’onorevole Rosa Villecco Calipari (Pd), “bisogna allentare la morsa discriminatoria che è strutturale in questo paese”. E da Calipari arrivano alcune proposte immediate per migliorare la situazione delle donne in Italia, a partire dalle considerazioni contenute nel rapporto presentato. In primis ripristinare le norme contro le dimissioni in bianco. “ Mi auguro che il ministro Fornero possa al più presto possan cominciare a mettere in piedi alcune misure, tra cui sulla norma delle dimissioni in bianco – ha detto la deputata del Pd - Ripristinare ciò che è stato cancellato nel 2008 incide profondamente perché consente atti ricattatori delle donne sul lavoro in uno dei momenti più delicati della loro vita: cioè la maternità. Tanto più che oggi siamo una larga parte politica a sostenere questo governo e che le norme sulle dimissioni in bianco sono state già calendarizzate in commissione lavoro”.

L’altra proposta di Calipari è di creare “un piano nazionale antiviolenza”. “C’è il problema dei centri antiviolenza che avevano subito pesantissimi tagli e il cui piano di finanziamento è una tantum, vale per un anno, un anno e mezzo. Abbiamo una situazione a macchia di leopardo, ci sono regioni e regioni. La deregulation ha aumentato la differenziazione sul territorio – ha continuato - I centri antiviolenza sostengono da 20 anni le donne che subiscono violenza in questo paese, e andrebbero valorizzati con una raccolta di dati statistici perché ci consentono di vedere la realtà”. Poi, partendo dalla considerazione che la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni è il femminicidio, Calipari chiede un piano nazionale antiviolenza. “Serve una strategia coordinata – ha detto - Gli stereotipi sono legati alla violenza, se creo un’immagine di oggetto sessuale, è difficile che poi la violenza non venga perpetrata su questa persona. Condivido l’istituzione di un’autorità indipendente per i diritti umani, ed è il momento di affrontare la questione delle donne nella discussione sulla legge elettorale, questo è il momento di rivedere i meccanismi. Devono esserci sanzioni e inammissibilità per i consigli regionali che non hanno eletto una sola donna al loro interno”.

Su questo tema, Barbara Saltamartini (Pdl) ha sottolineato che in commissione Affari Costituzionali è in discussione una proposta di legge sui consigli elettivi enti locali, anche se non sono previste grosse sanzioni Saltamartini ha commentato che “l’aula i grandi sogni te li ammazza, va fatta una mediazione”. Secondo la deputata del Pdl, “la maggior parte delle violenze avviene dentro casa, vuol dire che c’è un problema culturale da combattere. Bisogna coinvolgere i colleghi parlamentari uomini, più loro che noi, sennò questa battaglia non la vinciamo”.

Il Cedaw all’Italia: “Lacuna immensa fra la normativa e la sua applicazione” . Il 2012 si apre alla Camera dei Deputati all’insegna dei diritti delle donne. Un tema sensibile per l’Italia in questo momento, tanto che arriva una “tirata d’orecchie” dal comitato Cedaw che verifica il rispetto della Convenzione Onu contro le discriminazioni nei confronti delle donne. E un piccato botta e risposta tra il membro del Comitato internazionale, Violeta Neubauer e Alessandra Servidori, consigliera nazionale di Parità. Il tutto avviene nella sala Mappamondo gremita da tantissime donne, alla presentazione del “Rapporto Ombra” della società civile e delle raccomandazioni del comitato Cedaw 2011 L’evento è stato organizzato da Fondazione Pangea Onlus per la piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni Cedaw”. Il dibattito, moderato dalla giornalista Tiziana Ferrario, è stato diviso in due momenti con gli interventi della società civile e del Comitato Cedaw e poi con la presenza di alcuni parlamentari.

“Per quanto riguarda le raccomandazioni, ci sono quelle contro la violenza sulle donne – ha detto la giornalista Ferrario - si chiede che siano ripristinati i fondi ai centri antiviolenza perché dal rapporto emerge che sono stati tagliati. Il tasso di disoccupazione è alto e sono le donne a essere le più colpite, anche dal lavoro precario. Un’altra raccomandazione è di promuovere l’equa condivisione degli impegni familiari tra uomo e donna per assicurare la conciliazione vita- lavoro anche in quelle regioni con meno servizi sociali come gli asili nido e si tocca il tema delle dimissioni in bianco, perché la violenza passa anche dalla dipendenza economica delle donne, poter garantire un’uscita dal precariato alle donne significa offrire strumenti in più. Una delle raccomandazioni è l’elaborazione di una strategia di lungo termine per combattere gli stereotipi e di programmi scolastici contro le discriminazioni”. Su questi appunti del comitato rappresentato dalla Neubauer, la consigliera nazionale di Parità Salvadori ha voluto ribattere. In particolare sull’accusa che “finora l’opinione pubblica italiana non è stata informata sulla Cedaw perché non sono mai stati tradotti e divulgati i rapporti periodici dello Stato Italiano al comitato Cedaw né le raccomandazioni fatte dal comitato” .

“Abbiamo tradotto tutti gli atti, è bene che queste cose siano conosciute – ha contestato Alessandra Servidori - Abbiamo lavorato molto, è un problema che non ci sia comunicazione. È stato fatto un piano nazionale Italia 2020 all’interno degli istituti scolastici su questi temi, sul testo unico 81 quello sulla prevenzione e la sicurezza delle donne sui luoghi di lavoro. Stiamo lavorando anche sulla cosiddetta Legge Brunetta. Mi dispiace che il nostro lavoro non sia stato riconosciuto”.

Dopo il suo intervento, Violeta Neubauer ha chiesto la parola: “Vorrei dire chiaramente che ancora non so dove posso trovare i documenti tradotti dall’Italia”, ha esordito. Infatti non è chiaro su quale sito governativo sarebbero stati pubblicati e consultabili. “Non è che non l’ho trovato perché non so usare la lingua italiana – ha continuato il membro del comitato Cedaw, intercalando l’italiano all’inglese - Lascio a voi la considerazione su quella che è la realtà dei fatti. Non è vero che il comitato non ha preso atto dell’immensa mole di lavoro fatta dalle autorità italiane nel migliorare ma è anche vero che molti interrogativi non sono stati affrontati in modo preciso e adeguato. Si è risposto genericamente, ripetendo pedissequamente quelle che erano le raccomandazioni del comitato Cedaw. Tutte le domande e le risposte della delegazione italiana sono sul nostro sito. Pertanto se è vero che nessun governo è contento di ricevere osservazioni critiche, il comitato non è lì per blandire i governi ma per mettersi al servizio delle donne che devono essere protette a pieno. Il comitato non è soddisfatto dell’applicazione della convenzione, rimane una lacuna immensa esistente fra la normativa e la non applicazione di queste leggi in Italia. Le donne non sono un problema. Le donne sono la soluzione”. All’iniziativa hanno partecipato anche Simona Lanzoni di Fondazione Pangea Onlus, Barbara Spinelli di Giuristi democratici, Rossana Sacricabarozzi di ActionAid Italia e Concetta Carrano di “Donne in rete contro la violenza”. (Redattore Sociale)

Sotto esame l'ONU. L'Italia che uccide le donne

127 donne uccise per motivi di genere nel 2011 in Italia, con un picco tremendo in dicembre. Un rapporto su questa piaga alla base delle "raccomandazioni" dell'Onu al nostro Paese. Se ne discute oggi a Montecitorio

Luisa Betti - 17.01.2012
Il Manifesto

Il 2011 si è chiuso, per gli italiani e le italiane, con il sangue delle 127 donne uccise per motivi di genere, cioè in quanto donne, con un picco che ha visto durante le vacanze tra Natale e Capodanno un lungo elenco di nomi femminili in cronaca nera: Stefania Noce, 24 anni, morta accoltellata dall’ex fidanzato sul balcone di casa sua; Daniela Bertolazzi, 60 anni, uccisa in camera da letto dal suo convivente a martellate sulla testa; Silvia Elena Minastireanu, romena di 20 anni, uccisa il 23 dicembre a casa sua, strangolata da Luca D'Alessandro, 18 anni; Rosa Allegretti, prostituta uccisa da Costabile Piccirillo, giardiniere di Agropoli, trovata seppellita con mani e piedi legati, colpita con un bastone e con in bocca con un fazzoletto e nastro isolante; Mariya Alferenok, ucraina di 53 anni e da dieci anni a Melfi, uccisa a calci e pugni dal convivente, ritrovata col volto tumefatto a casa sua. Un elenco che con l’inizio del nuovo anno ha continuato con un trend in salita con la morte di quasi una donna al giorno, uccise da mariti, conviventi, ex partner: 12 donne finora, tra cui Enza Cappuccio, 33 anni, cieca, madre di 6 figli, arrivata all’ospedale Cardarelli di Napoli accompagnata dal marito, dal cognato e da un amico, ormai senza vita ma con segni evidenti di contusioni e probabile strangolamento, nonché in una condizione fisica di evidente denutrizione; Rosetta Trovato, 38anni, uccisa dal marito, strangolata davanti alla figlioletta; e Stefania Mighali, 40 anni, uccisa a coltellate dal marito, che dopo il femicidio ha appiccato il fuoco alla casa sterminando la famiglia e gettandosi poi dal balcone. Un quadro agghiacciante che spiega con i fatti quanto l’Italia abbia bisogno di cambiare in profondità il suo modo di trattare le donne. Ma il femicidio, estrema conseguenza della violenza contro le donne, non è un problema nuovo ed è stato anche ampiamente affrontato nel “Rapporto Ombra”, redatto dalle associazioni e dalle Ong italiane – sulla situazione delle italiane nel lavoro, il welfare, la politica, gli stereotipi, fino appunto alla violenza – che dopo essere stato presentato a New York in luglio, alle Nazioni Unite (Cedaw), stamattina sarà al centro della discussione che si tiene alla Sala Mappamondo della Camera (piazza Montecitorio 1), con interventi di tutte le parti riunite nella Piattaforma “Lavori in corsa - 30 anni CEDAW” - Simona Lanzoni di Pangea, Barbara Spinelli di Giuristi democratici, Rossana Scaricabarozzi di ActionAid e Titti Carrano di D.i.re (Donne In Rete contro la violenza) - con un intevernto di Violeta Neubauer, membro del Comitato CEDAW, e le rappresentanze politiche invitate dalla On. Rosa Maria Villecco Calipari, che coordina il convegno moderato dalla giornalista Tiziana Ferrario, e con le conclusioni della ministra del Lavoro, con delega alle Pari Opportunità, Elsa Fornero. Un’occasione unica per capire come è possibile che l’Italia si sia ridotta in queste condizioni.

“Nel Rapporto Ombra – dice l’avvocata Titti Carrano che ha partecipato alla stesura per la parte che riguarda la violenza sulle donne nel testo presentato alle Nazioni Unite – è scritto chiaramente che nel monitoraggio che fanno le associazioni che si occupano di questo problema, emerge l’assoluta inadeguatezza dell’Italia su diversi fronti: non esiste ancora una legge sulla violenza di genere che comprenda, oltre alla violenza sessuale, tutte le forme di violenza che una donna può subire; l’insufficienza delle strutture dei centri antiviolenza che non hanno garanzie di finanziamento costante da parte degli enti locali e che quindi non riescono a garantire la copertura e la domanda del territorio; la mancanza allarmante di un’osservatorio nazionale su quello che è la violenza in Italia e quindi una carenza di dati ufficiali attendibili, in quanto sempre disgregati, o perché a livello territoriale o perché senza un osservatorio di genere; e infine la gravissima cecità rispetto alla violenza assistita dai minori nell’ambito domestico, dove si consuma una violenza reiterata nel tempo e quindi doppiamente traumatica”.

Nelle Raccomandazioni del Comitato Cedaw al Governo italiano, fatte a seguito della presentazione del “Rapporto Ombra” redatto, ricordiamolo, dalle associazioni e non dal nostro governo - che non si è sentito in “dovere” di fare un’analisi e un quadro della situazione disastrosa della donna in Italia pur avendo ratificato la Convenzione nel 1985 – si intuisce chiaramente la possibilità che ci sia una resposabilità delle istituzioni italiane non solo per quanto riguarda la discriminazione di genere nella politica, nel lavoro, nel perdurare degli stereotipi maschilisti, ma anche per quel che riguarda la crescita del femicido, in quanto si legge che il Comitato si dichiara “preoccupato per l’elevato numero di donne uccise da partner ed ex partner che può indicare un fallimento delle autorità dello Stato nel proteggere adeguatamente le donne vittime dei loro partner o ex partner”.

Un’affermazione che richiama alla mente le tante separazioni che si concludono con violenze fisiche o psicologiche, con stalking e minacce, o appunto con la soppressione fisica della donna, con un atto di violenza estrema, che alcuni giornali continuano a chiamare: “delitto passionale” o “raptus di un folle”. Una tragedia ormai inarrestabile di cui sono responsabili quindi anche quelle autorità che omettono di applicare norme di allontanamento di ex partner pericolosi, o che non distinguono la conflittualità di coppia dalla violenza vera e propria, e che “si dimenticano” di dare protezione appunto alla potenziale vittima, compresi i minori nel caso siano presenti.

Ad analizzare in profondità questo bel panorama da horror all’italiana, sarà in questi giorni, Rashida Manjoo, esperta indipendente incaricata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per il monitoraggio della violenza contro le donne nel mondo, che, in visita nel nostro paese, ha spiegato come “questa missione mi offre un'occasione unica per discutere e relazionare sull'impatto delle politiche e dei programmi adottati in Italia per combattere il problema”. Manjo, docente al Dipartimento di Legislazione Pubblica dell’Università di Cape Town, è stata nominata Relatore speciale sulla violenza contro le donne, nel giugno 2009 dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per un periodo iniziale di tre anni, e come relatore speciale è indipendente da qualsiasi governo o organizzazione. In quanto relatore speciale sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo analizzerà le cause e le conseguenze del fenomeno, investigando su tutte le forme di violenza: da quella domestica, alla violenza perpetrata o tollerata dallo Stato, la violenza in ambito transnazionale, la violenza contro i rifugiati, richiedenti asilo e le donne migranti, e alla fine della sua visita, il 26 gennaio, illustrerà durante una conferenza stampa, presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI), i primi risultati del rapporto che sarà illustrato, con le raccomandazioni, nella ventesima sessione del Consiglio dei Diritti Umani nel giugno 2012.

L’Onu avverte l’Italia, nel Bel Paese le donne sono lontane dalla parità | Diritto di critica

L’Onu avverte l’Italia, nel Bel Paese le donne sono lontane dalla parità Diritto di critica

Presentate in Parlamento le valutazioni sulla condizione femminile italiana. Il Comitato che vigila sulla Convenzione internazionale Cedaw ammonisce il nostro Paese, è ora di cambiare passo
Le donne in Italia vivono ancora troppe discriminazioni e situazioni di violenza. È l’allarme lanciato dal Comitato Cedaw, l’organismo dell’Onu per il riconoscimento e la difesa dei diritti delle donne che ha presentato alla Camera dei deputati le valutazioni sul rapporto “ombra”, relazione che fotografa il benessere delle donne e si affianca all’ufficiale rapporto redatto dal governo.
Grazie all’apporto di numerose Ong specializzate del settore (per esempio Fondazione Pangea, Actionaid, Associazione Differenza Donna, Giuristi Democratici e altre), infatti, i rilevatori del Comitato, dopo sei mesi di lavoro, hanno avuto ben chiaro il quadro della situazione femminile italiana, e invitano ora il nostro Paese a ratificare quanto prima la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne, firmato da dieci Paesi Europei lo scorso maggio a Instanbul.
L’appello più accorato arriva da Violeta Neubauer, membro del Comitato Onu incaricato di vigilare sull’applicazione della convenzione internazionale Cedaw, convenzione nata all’Assemblea Onu nel lontano 1979, e da noi firmata nel 1985: «L’Italia deve fare molto di più – spiega – c’è uno scarto tra la legge e la sua esecuzione che va colmato, le donne non devono essere il problema, ma la soluzione per un Paese».
I dati parlano chiaro: rispetto alla normativa guida che le Nazioni del mondo dovrebbero seguire, in Italia persistono stereotipi e discriminazioni nel welfare, nei diritti sessuali e sulla salute riproduttiva, e gravi patologie sociali come la tratta, la prostituzione.
Questo il passaggio chiave del rapporto: «Il Comitato è preoccupato per la rappresentazione della donna quale oggetto sessuale e per gli stereotipi circa i ruoli e le responsabilità dell’uomo e della donna nella famiglia e nella società. Tali luoghi comuni, contenuti anche nelle dichiarazioni pubbliche rese dai politici, minano la condizione sociale della donna, come emerge dalla posizione svantaggiata in diversi settori». Ci vengono in mente la cupa situazione del mercato del lavoro, l’accesso alla vita politica e alle cariche decisionali.
Basta qualche cifra per rendersi conto: la pensione delle donne è in media più bassa del 30,5% rispetto a quella degli uomini, e le libere professioniste non godono di minime tutele in materia di maternità e di cura dei figli. In Parlamento il contributo femminile è appena il 20%, una delle percentuali più basse in Europa e nel mondo. Stessa situazione nelle Università, dove le donne laureate sono in maggioranza (58%), ma la percentuale di ricercatrici cade al 40%, e quella delle professoresse ordinarie è al 12%.
In Italia non si investe in rosa, quindi, ma si continua a raffigurare la donna, vedi la televisione o le pubblicità, come un corpo, un oggetto sessuale, o al massimo una brava mamma di famiglia.
La donna non è solo penalizzata, ma resa anche vittima della violenza maschile. Violenza inaudita verso donne e bambine, che rappresenta la prima causa di morte in Italia per l’universo femminile che va dai 15 ai 44 anni.
Il Comitato Cedaw ha chiesto all’Italia di cambiare registro e attenersi alla convenzione mondiale, riferendo dei progressi raggiunti ogni due anni, e non più quattro come si era fatto finora. Tra le raccomandazioni anche quelle di seguire appositi codici di condotta e fornire maggiore assistenza in termini sanitari, logistici e psicologici a quelle donne che decidono di scappare dalla violenza o denunciare abusi e soprusi.

DONNE: CALIPARI (PD), LEGGE ELETTORALE E DIMISSIONI IN BIANCO SUBITO INTERVENTI - AgenParl - Agenzia Parlamentare per l'informazione politica ed economica

Violenza maschile, in aumento in Europa e nel mondo


Ogni giorno 7 donne vengono uccise dai propri partner o ex partner, la violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne nel nostro continente. In Italia solo nel 2010 i casi di femminicidio sono stati 127: il 6,7% in più rispetto all’anno precedente. Di queste, 114 sono state uccise da membri della famiglia. In particolare, 68 sono state uccise dal partner e 29 dall’ex partner. Dunque, in più della metà dei casi il femmicidio è stato commesso nell’ambito di una relazione sentimentale, in corso o appena terminata, per mano del coniuge, convivente, fidanzato o ex. La maggior parte delle vittime è italiana (78%), così come la maggior parte degli uomini che le hanno uccise (79%). Solo una minima parte di questi delitti è avvenuta per mano di sconosciuti. Nella restante parte dei casi è avvenuto per mano di un altro parente della vittima o comunque di persona conosciuta. E’ uno degli aspetti più delicati su cui si concentra il “Rapporto Ombra” della società civile sulla condizione delle donne in Italia.

“I media spesso presentano i casi di femmicidio come frutto di delitti passionali, di un’azione improvvisa ed imprevedibile di uomini vittime di raptus e follia omicida – si legge nel rapporto – In realtà questi sono l’epilogo di un crescendo di violenza a senso unico e generalmente sono causati da un’incapacità di accettare le separazioni, da gelosie, da un sentimento di orgoglio ferito, dalla volontà di vendetta e punizione nei confronti di una donna che ha trasgredito a un modello comportamentale tradizionale”. Un ruolo che in Italia è ancora relegato a quello di madre e moglie, oppure di oggetto del desiderio sessuale. Secondo il rapporto, nel momento in cui la donna italiana cerca di uscire da questi schemi, nasce il rifiuto del partner maschile alla sua emancipazione “che si trasforma in forme di controllo economico, di violenza psicologica, di violenza fisica, e che può arrivare fino all’uccisione della donna”, secondo gli autori del rapporto.

A influire negativamente in termini legislativi son anche i tempi troppo lenti per ottenere il divorzio in un paese come il nostro. Devono trascorrere tre anni dalla prima udienza di richiesta di separazione per poter richiedere il divorzio. In questo lasso di tempo si intensificano gli atti di violenza. Spesso l’ex marito non si rassegna all’allontanamento dell’ex moglie e mette in atto “atteggiamenti persecutori e di controllo con un uso della forza nei confronti della donna e che possono portare sino all’omicidio della stessa”.

In Italia manca un’unica definizione legislativa delle discriminazioni di genere, che rispecchi quella già presente delle direttive europee. La bocciatura in Parlamento della legge contro l’omofobia ha lasciato un vuoto legislativo ancora aperto. “Se fosse stata approvata una legge di tutela dalle discriminazioni e dalla violenza indipendentemente dal genere di appartenenza e dalla propria scelta sessuale – si legge ancora nel rapporto – sicuramente si sarebbero potuti prevenire molti casi di aggressioni contro gay, lesbiche, transessuali e intersessuali che si sono verificati negli ultimi anni”. (rc)



Donne, violenza, disparità sono ancora cultura diffusa

Fonte: http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2012/01/18/news/pangea_rapporto_cdaw-28386446/

Il rapporto-ombra della Convenzione per l'eliminazione di tutte le discriminazioni di genere. "Le donne non sono il problema, sono la soluzione, ecco perché crediamo che questo momento di crisi possa trasformarsi in opportunità per tutte e si possano dare delle risposte"

ROMA - Fondazione Pangea per la "Piattaforma 30 anni Cedaw: lavori in corsa" ha presentanto ieri il rapporto ombra della CEDAW, che vuol dire Convenzione per l'eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne, oltre alle raccomandazioni che il Comitato CEDAW dell'Onu ha rivolto allo stato Italiano nel luglio scorso, dopo la sessione di valutazione del rapporto sullo stato di attuazione della CEDAW in italia sui diritti delle donne.

"La piattaforma è composta da diverse realtà della società civile che, come Fondazione Pangea, vogliono rendere migliore questa Italia"- afferma Simona Lanzoni, di Pangea - "come ha detto Violetta Neubauer membro delle Nazioni Unite per la CEDAW ieri alla conferenza, le donne non sono il problema, sono la soluzione, ecco perché crediamo che questo momento di crisi possa trasformarsi in opportunità per le donne e possiamo dare delle risposte."

Un dialogo con le istituzioni. La piattaforma sta lavorando osservando ciò che stanno facendo le Istituzioni, per capire se verranno realizzate misure capaci di essere coerenti con le raccomandazioni CEDAW. Nel caso poi ciò non avvenga si utilizzeranno - utilizzeremo - dice in sostanza il rapporto-ombra  - gli strumenti internazionali che mettono a disposizione il Protocollo Opzionale della CEDAW. "Contemporaneamente - aggiunge Simona Lanzoni - stiamo lavorando per costruire un dialogo con le Istituzioni e con le diverse realtà della società civile, cercando di mantenere aperto il ponte con le Nazioni Unite e il Comitato CEDAW, ma penso anche alla presenza in questi giorni della special rapporteur sulla violenza di genere, Rashida Manjo, e dell'Unione Europea".

Le criticità. Il rapporto, in particolare, sottolinea le criticità rilevate sul problema degli stereotipi sulle donne, troppo spesso rappresentante come oggetti sessuali o come solo buone madri di famiglia, ma mai raffigurate per le loro competenze o in ruoli diversi. Una criticità che si riscontra anche sul lavoro, come ad esempio la pratica delle dimissioni in bianco, o il welfare che pesa principalmente sulle spalle delle donne, per non parlare della violenza che sono costrette a subire, fino alla rappresentanza politica. "Siamo il 51% della popolazione - dice la rappresentante di Pangea - e ci rappresenta solo il 20% delle parlamentari, peggio che in Afghianstan, dove è del 25%, malgrado l'art. 51 della Costiuzione italiana sia stato modificato per favorire proprio la partecipazione delle donne."

Un opuscolo divulgativo. "Per facilitare la conoscenza della CEDAW, dei suoi contenuti e delle criticità che ci sono in Italia - ha aggiunto Claudia signoretti, anche lei della Fondazione Pangea - abbiamo prodotto un opuscolo divulgativo che riassume i contenuti del rapporto ombra. Il lavoro della piattaforma CEDAW proseguirà oltre la conferenza. Abbiamo presentato il nostro lavoro alla sala Mappamondo della Camera dei Deputati, ospitate dall'ononorevole Calipari, che ha invitato i rappresentanti di ogni formazione politica. E' un punto di partenza verso la divulgazione di questa convenzione - ha concluso la signoretti - uno dei principali trattati delle Nazioni Unite, che deve essere conosciuto dai parlamentari come dalle Istituzioni e dalle amministrazioni locali e nazionali per poter essere attuata, e poi c'è l'opinione pubblica, ci auguriamo che l'opuscolo serva a conoscere la CEDAW, non solo le donne ma anche gli uomini, solo così migliorerà qualcosa."







(18 gennaio 2012)

La parità tra uomini e donne? In Italia è ancora un miraggio

Si chiama “Rapporto Ombra” e fotografa la condizione delle donne in Italia in base alla Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (Cedaw), adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 1979 e ratificata dall’Italia nel 1985. La Convenzione è il trattato internazionale di riferimento sui diritti delle donne per garantire pari opportunità in ambito sia pubblico che privato. Ogni quattro anni gli Stati firmatari devono presentare un rapporto sui risultati richiesti dalla Cedaw. Ma anche la società civile può redigire parallelamente un proprio rapporto, il cosiddetto “Rapporto Ombra”, per fornire al Comitato Cedaw una propria analisi della condizione delle donne nel proprio paese.

Dopo aver esaminato il Rapporto governativo e il Rapporto Ombra, il Comitato, composto da 23 esperti di tutto il mondo, formula le proprie raccomandazioni allo Stato che è tenuto a risponderne. Il “Rapporto Ombra” ha ricevuto l’adesione di più di 140 organizzazioni italiane. Il 3 agosto 2011 il Comitato Cedaw ha pubblicato le sue valutazioni sull’impegno dell’Italia nella tutela e nella promozione dei diritti delle donne e ha rivolto al Governo una serie di raccomandazioni per migliorare il suo operato, prendendo in considerazione le preoccupazioni sollevate dalla piattaforma “Lavori in Corsa: 30 anni Cedaw”, costituita da diverse realtà della società civile. Il rapporto spazia su tutti i temi della condizione femminile ricalcando gli ariticoli della Convenzione per sottolinearne il mancato rispetto nel nostro paese. Lavoro, maternità, cittadinanza, pensioni, ruolo delle donne nei media sono alcuni dei settori analizzati.

La pensione delle donne resta mediamente più bassa del 30,5% rispetto a quella degli uomini: gli uomini rappresentano il 47% dei pensionati ma incassano il 56% del “monte pensioni”: in media 17.137 euro rispetto agli 11.906 euro delle donne. La situazione peggiora ulteriormente per le donne che lavorano con la partita IVA perché non hanno tutele minime in materia di maternità, e nessuna protezione per quanto riguarda la cura dei figli piccoli o di familiari non autosufficienti.

In televisione e nella pubblicità le donne sono ancora oggi in prevalenza raffigurate come oggetti sessuali o brave mamme di famiglia. Il corpo delle donne, nudo o seminudo, viene utilizzato per vendere qualsiasi tipo di prodotto con immagini che calpestano ed umiliano la dignità della donna. “È ancor più preoccupante come nella comunicazione pubblicitaria sembra non esserci alcuna differenza tra una donna e una bambina: alla bambina vengono riproposti gli stessi ruoli stereotipati interpretati e subiti da una donna adulta: deve essere sexy, ammiccante, avvenente o giocare il ruolo di ‘mamma’, mentre i maschietti devono essere forti, coraggiosi, intraprendenti e non emotivi” sottolinea il rapporto. Per il ruolo delle donne nei media, si ritrovano gli stessi stereotipi: il Censis registra che il 53% delle donne che appaiono in televisione non ha voce, il 43% delle donne è associato a temi come sesso, moda, spettacolo e bellezza, e solo nel 2% dei casi ai temi di impegno sociale e professionalità.

In Parlamento soltanto il 20% dei deputati e dei senatori è donna, registrando una delle percentuali più basse in Europa e nel mondo e configurando una “carenza di democrazia”. Nei Consigli regionali di Calabria e Basilicata non è stata eletta nessuna donna, nella Giunta regionale siciliana, su 12 assessori solo 1 è donna. “Per rimediare a questa grave violazione l’unica soluzione possibile è il ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar) perché dichiari l’illegittimità delle Giunte che non rispettano criteri di rappresentanza di genere – dice il rapporto - Tuttavia, neanche questo strumento si è rivelato adeguato a tutelare effettivamente il diritto alla rappresentanza delle donne, perché i vari Tar seguono orientamenti diversi, determinando una ulteriore disparità tra le donne appartenenti a Regioni diverse.

Sempre in tema di diritti civili, per le donne straniere è un problema anche il meccanismo di acquisizione della cittadinanza per matrimonio o per residenza. Nel primo caso possono passare da 1 fino a 4 anni prima che venga ufficialmente riconosciuto tale diritto, “a condizione che la posizione coniugaledella donna non cambi, perché in caso di divorzio o separazione, la sua richiesta viene rigettata”.

Secondo il rapporto, “ i tempi particolarmente lunghi di questa procedura rendono la donna dipendente dal marito nel periodo di attesa della sua richiesta, esponendola quindi a un ricatto da parte del marito in diversi casi”. Per le donne straniere che lavorano, il percorso di acquisizione del permesso di soggiorno e della cittadinanza risulta particolarmente difficile data la loro situazione caratterizzata dalla mancanza di contratti di lavoro regolari, da un’estrema precarietà e da redditi molto bassi. Anche questa situazione pone le donne straniere sotto l’autorità dei datori di lavoro (o dei mariti), rendendole facilmente ricattabili e ostacolando il loro percorso di integrazione nella società.

Sui temi del lavoro e dell’istruzione, la situazione appare discriminatoria anche per le donne italiane. All’Università si iscrivono donne in prevalenza, ottengono i voti migliori, si laureano in minor tempo, tuttavia continuano ad affrontare enormi difficoltà di accesso al mondo del lavoro universitario e i tagli della riforma Gelmini saranno un ulteriore ostacolo. Le studentesse rappresentano il 58% dei laureati, ma le ricercatrici universitarie sono il 40%, le professoresse associate il 32%, le ordinarie solo il 14% e sono 2 le uniche donne rettore in tutta Italia. Anche la “fuga dei cervelli” si tinge prevalentemente di rosa: “ è ancora diffuso lo stereotipo e l’idea ingiusta che non valga la pena investire nella formazione e attribuire fondi per la ricerca a chi poi un giorno diventerà madre e dovrà occuparsi anche del lavoro di cura togliendo tempo alla ricerca” sottolinea il rapporto.

Una donna su due non cerca lavoro, e nelle Regioni del Sud il tasso raggiunge picchi del 63%. Spesso o assorbite come forza lavoro dal mercato nero, a discapito dei propri diritti, o restano a casa. Le cause della difficoltà per le donne ad inserirsi e mantenere il lavoro sono molteplici. Spesso sono la maternità oppure l’accudimento di membri della famiglia disabili, malati permanenti o molto anziani. Per esempio, in Italia oltre un quarto delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità: solo nel 2010 per questo motivo 800 mila donne sono uscite dal mercato del lavoro. Una delle cause è la difficoltà di passare in azienda da un lavoro full time a uno part time. Infine c’è il problema delle ‘dimissioni in bianco’, una pratica usata dai datori di lavoro per licenziare le lavoratrici in maternità. Per porvi fine, nel 2007 il Parlamento italiano aveva approvato una legge in base a una direttiva europea. Ma il provvedimento è stato abrogato con un decreto legge del Governo Berlusconi nel giugno del 2008.



Il Comitato Onu sferza l'Italia

In Evidenza
17/01/2012 -

IL CASO "Per le donne dovete fare di più"
Il Comitato Onu sferza l'Italia

Fonte: lastampa.it
Articolo di Laura Preite
La Cedaw presenta un rapporto che inchioda Roma: stereotipi, violenze e troppe discriminazioni
La Consigliera di parità replica: "Ma sul lavoro siamo migliorati"

«L'Italia deve fare molto di più, c'è uno scarto tra legge e sua applicazione che va colmato, le donne non sono il problema ma la soluzione», questo l'appello accorato, oltre che nei termini, anche nei modi, di Violeta Neubauer, membro del Comitato Onu per l'eliminazione delle discriminazione nei confronti delle donne, che vigila sull'applicazione dell'omonima convenzione internazionale, la Cedaw, nella sala Mappamondo della Camera dei deputati, in occasione della presentazione del rapporto ombra sui diritti delle donne in Italia.

Le osservazioni del Comitato Cedaw
La Cedaw è il principale strumento internazionale di riconoscimento e difesa dei diritti delle donne. Per la prima volta una decina di associazioni ha presentato, a New York, lo scorso luglio, in contemporanea con la presentazione del rapporto quadriennale del Governo italiano sull'implementazione della Convenzione, un rapporto-ombra che mette a fuoco le criticità della situazione nazionale rispetto alle norme contenute nella carta, iniziando un dibattito. Le Osservazioni conclusive del Comitato, successive al lavoro degli stati membrei e delle Ong hanno sintetizzato diverse criticità soprattutto nella rappresentazione stereotipata (punto 22-25) e per quanto riguarda la violenza (26-27). I due fattori sono messi in relazione.

Si legge nel rapporto: “Il Comitato rimane profondamente preoccupato per la rappresentazione della donna quale oggetto sessuale e per gli stereotipi circa i ruoli e le responsabilità dell'uomo e della donna nella famiglia e nella società. Tali stereotipi, contenuti anche nelle dichiarazioni pubbliche rese dai politici minano la condizione sociale della donna, come emerge dalla posizione svantaggiata in diversi settori, incluso il mercato del lavoro, l'accesso alla vita politica e alle cariche decisionali”. Il Comitato raccomanda l'adozione di codici di condotta e di essere aggiornato fra due anni (e non dopo i canonici quattro), sui risultati raggiunti. Preoccupa anche il tema della violenza di genere, quella verso bambine e donne adulte, uccise dai propri compagni, mariti, o ex, (è la prima causa di morte per le donne dai 15 ai 44 anni). Sono necessari, per il Comitato, garantire case rifugio dove le donne in fuga possano sentirsi al sicuro ed essere assistite, e la formazione di personale giudiziario, medico e sociale qualificato che le possa assistere in tutte le fasi del processo. Così come è necessario per l'Italia ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne firmato a Istanbul lo scorso maggio da 10 stati europei.

Il rapporto ombra
Il lavoro delle Ong ha facilitato l'attività di monitoraggio del Comitato. I punti critici, individuati dalla Piattaforma Cedaw (a cui hanno aderito Actionaid, Arcs arci, Fondazione Pangea, associazione Differenza donna, Be free, Casa internazionale delle donne, fratelli dell'uomo, Giuristi democratici e le9) sono diversi: lavoro e welfare, tratta e prostituzione, stereotipi e rappresentanza politica, violenza, diritti sessuali e salute riproduttiva. «Saremo il watchdog, il cane da guardia – spiega Rossana Scaricabarozzi di Actionaid tra le rappresentanti della Piattaforma, presenti all'incontro moderato dalla giornalista Rai Tiziana Ferrario – vigileremo affinché le misure contenute nella Cedaw e le raccomandazioni vengano attuate, se non arrivano risposte ci attiveremo per sollecitarle, vogliamo iniziare un dialogo con le istituzioni nazionali e internazional». Al tavolo politico, dove sono seduti gli onorevoli Calipari (vicepresidente del Pd alla Camera), Saltamartini (Pdl) Di Giuseppe (Idv) e Della Vedova (Fli), si snocciolano proposte concrete per migliorare la condizione delle italiane, come reintrodurre il divieto delle dimissioni in bianco, (dove c'è già il progetto di legge n.3009 dell'onorevole Gatti) e riformare la legge elettorale prevedendo un'equa rappresentanza dei due generi per esempio con il meccanismo della doppia preferenza.

Il parere della Consigliera nazionale di parità
A difendere il lavoro del Governo, c'è la Consigliera di parità Alessandra Servidori, mentre il ministro del Lavoro e delle Pari Opportunità Elsa Fornero è impegnata a incontrare Rashida Manjoo, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la violenza contro le donne, in visita in Italia.

A lei spetta il compito di rispondere alle accuse di superficialità e inadempienza del comitato Cedaw e dell'assenza di un'adeguata pubblicità della Convenzione:«Ventun rappresentanti del governo italiano hanno redatto il rapporto, è stato molto partecipato, non era mai capitato prima. Ricordo ciò che è stato fatto, in particolare dal ministero del Lavoro da cui dipendo: il testo unico sulla sicurezza (n.81 del 9/04/2008), che riconosce alcune patologie professionali al femminile, l'Osservatorio sulla contrattazione decentrata e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, e con la Finanziaria si sono introdotte all'articolo 53 del contratto di produttività, agevolazioni fiscali alle aziende che favoriscono la flessibilità e ai lavoratori e alle lavoratrici. A questo si aggiunge il piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, il numero unico nazionale 1522. Mi spiace solo che il nostro lavoro non abbia avuto il riconoscimento dovuto». Neubauer conclude: «Il Comitato riconosce il grande lavoro del Governo ma abbiamo ricevuto molte risposte generiche. Il ruolo del Comitato è difendere i diritti delle donne e non siamo soddisfatti con l'applicazione della Cedaw».





Pari Opportunità: l'ONU rimprovera l'Italia

Fonte: Dire Donna
Articolo di Marco Viviani

Le pari opportunità sono ancora un miraggio lontano in Italia, stando al Rapporto del Cedaw, il Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne. Violeta Neubauer ha presentato a Roma un documento che tira le orecchie al nostro Paese.

Il documento che esorta l’Italia a fare di più in materia di pari opportunità è la conclusione finale dopo le osservazioni fatte al lavoro quadriennale di ogni singola nazione per lo sviluppo del trattato internazionale. Il cosiddetto “rapporto ombra” a cui hanno aderito 140 organizzazioni per riflettere su lavoro, maternità, cittadinanza, pensioni, ruolo delle donne e via dicendo.

Diciamo subito che non è andata benissimo. Se il rapporto già l’anno scorso mostrava segni preoccupanti per quanto riguardava la rappresentazione della donna quale oggetto sessuale, e per gli stereotipi circa i ruoli e le responsabilità dell’uomo e della donna nella famiglia e nella società, le conclusioni sono perentorie: l’Italia dovrebbe fare di più.

«È ancora diffuso lo stereotipo e l’idea ingiusta che non valga la pena investire nella formazione e attribuire fondi per la ricerca a chi poi un giorno diventerà madre e dovrà occuparsi anche del lavoro di cura.»

La proposta del Comitato è quella di proseguire più velocemente nelle direttive del trattato, spingendo per leggi temporanee speciali per le aree in cui le donne sono sottorappresentate. In altri termini, quote rosa, vantaggi economici, allocazione di risorse dello Stato.

Due le misure subito attuabili uscite dall’incontro alla Camera dei Deputati: quote nella nuova legge elettorale, e nuova legge sulle dimissioni in bianco. Ci sono poi una serie di misure molto più complesse per aumentare la partecipazione delle donne nella società, in particolare nel lavoro e quindi nell’economia, fondamentali in questo tempo di crisi, ma intanto qualcosa si potrebbe già fare.

Non possiamo pensare di essere credibili soltanto perché riduciamo il debito: quello interessa alle banche. Ma l’Italia è anche il paese dove le donne hanno una pensione più leggera del 30%, in Parlamento si conta una donna su cinque, dove soltanto il 2% delle donne che appaiono in televisione non sono associate al sesso, all’avvenenza, dove le studentesse rappresentano il 58% dei laureati, ma le ricercatrici sono il 40%, le professoresse associate il 32% e ci sono in tutta la penisola solo due donne rettore.



Presentazione in Parlamento del Rapporto Ombra CEDAW

DONNE- RAPPORTO CEDAW- NEUBAUER(CEDAW):"NECESSARIA MAGGIORE DIVULGAZIONE E INCISIVITA' STEREOTIPO DI GENERE.". SERVIDORI(CONS.NAZ.PARITA'):"APPUNTAMENTO 8 MARZO CON RAPPORTO"

(2012-01-17)



E’ stato presentato oggi, su iniziativa presso la Camera dei Deputati, il cosiddetto Rapporto Ombra 2011 (vedi http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=32335) un importante mezzo di informazione "dal basso" risultato di un’ampia consultazione con le principali attiviste, accademiche e professioniste in materia di discriminazione di genere sul concreto stato di attuazione della Convenzione ONU per “l’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione nei Confronti della Donna (CEDAW) in Italia”. Un mezzo che spesso evidenzia ritardi e limiti della cultura dominante e dell'impegno governativo in materia nei diversi Paesi che hanno aderito.

Il Rapporto, che non ha avuto un'ampia divulgazione - pur essendo stato pubblicato dal Ministero degli Affari Esteri, come ha fatto presente la consigliera di parità, Alessandra Servidori - richiama l’Italia all’eliminazione delle numerose forme discriminatorie ancora presenti attraverso l’applicazione di leggi che sono state, in realtà, in tutto od in parte disattese. A sostenere tale conclusione Violetta Neubauer - Membro Comitato CEDAW – che ha dichiarato “lo stereotipo di genere, in Italia, deve essere affrontato con maggiore incisività” . Neubauer non ha mancato di affermare con molta decisione che “le osservazioni conclusive del comitato sono ben lungi dall’essere attuate” nel nostro Paese, “Oltre che divulgate”. Un aspetto, quest'ultimo, sul quale l'esponente del CEDAW è ritornata nel suo intervento, stigmatizzando la difficoltà nel reperimento della documentazione in materia.

D'altra parte l'esponente del CEDAW, pur prendendo atto della mole di lavoro svolta, e poco prima sottolineata dalla Consigliera Nazionale di Parità, Servidori, ha fatto presente come siano molti gli interrogativi sull'argomento e sui quali il CEDAW ha chiesto chiarimenti, ricevendone, tuttavia, generiche risposte, come lo stesso sito del Comitato testimonia.

Risultato: per l'esponente del Comitato Internazionale nel nostro Paese " rimane una lacuna immensa tra la normativa esistente e l’attuazione di queste leggi”. Lacuna sulla quale la consigliera nazionale di Parità, Servidori, si è impegnata a far fronte sul piano dell'informazione, attraverso una migliore divulgazione dei risultati ottenuti dal lavoro già svolto. In questo senso, la realizzazione di una serie di eventi dedicati al Rapporto, auspicati dalla giornalista Tiziana Ferrario, per il prossimo 8 marzo. (17/01/2012-ITL/ITNET)



The Globalist Syndication | Rapporto-Ombra-cose-turche-alla-Camera

domenica 15 gennaio 2012

Oggi ha inizio la visita ufficiale della Relatrice ONU contro la violenza sulle donne in Italia

Nel 2010 Giuristi Democratici, la rete nazionale dei centri antiviolenza DI.RE e la Piattaforma "30 anni di CEDAW: lavori in corsa" hanno invitato in Italia per una serie di conferenze la Relatrice Speciale ONU contro la violenza maschile sulle donne RASHIDA MANJOO.

Da domani, RASHIDA MANJOO inizierà la sua visita ufficiale in Italia, dove toccherà le città di Roma, Milano, Bologna, Napoli.

Qui di seguito il comunicato stampa ufficiale e, tratto dal sito ONU, il significato che assume la sua visita ufficiale.

Violence against women / Italy: UN expert announces first fact-finding mission to the country

GENEVA / ROME – United Nations Special Rapporteur Rashida Manjoo will visit Italy from 15 to 26 January 2012 to gather information on the issue of violence against women in the country. This will be the first visit to Italy by an independent expert charged by the UN Human Rights Council to monitor violence against women, its causes and consequences.

“Violence against women remains a grave and persistent problem in the world today,” said Ms. Manjoo, who is visiting the country at the invitation of the Government. “This mission provides me with a unique opportunity to discuss and report on the impact of policies and programmes adopted by Italy to fight the problem.”

The Special Rapporteur’s mandate on violence against women, its causes and consequences includes violence in the family, violence within the community, violence perpetrated or condoned by the State, and violence in the transnational sphere, including violence against refugee, asylum seeking and migrant women.

The Special Rapporteur will travel to Rome, Milan, Bologna and Naples where she will hold discussions with government authorities and representatives of civil society. Among her areas of focus will be issues relating to violence against migrant women including Roma and Sinti women. The Special Rapporteur will also visit shelters and detention centers, and will meet with individual victims of gender-based violence.

A press conference on the initial findings of the visit will be held at the Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) in Rome on Thursday 26 January 2012 at 13:00pm.

Based on the information obtained during the visit, Ms. Manjoo will present a report with her final findings and recommendations to the 20th session of the Human Rights Council in June 2012.

Ms. Rashida Manjoo (South Africa) was appointed Special Rapporteur on Violence against women, its causes and consequences in June 2009 by the UN Human Rights Council, for an initial period of three year. As Special Rapporteur, she is independent from any government or organization and serves in her individual capacity. Ms. Manjoo is also a Professor at the Department of Public Law at the University of Cape Town.

For additional information on the mandate of the Special Rapporteur, please visit:

Check the UN Declaration on the Elimination of Violence against Women:

OHCHR Country Page – Italy

For press inquiries please contact Fabio Graziosi (Tel: +32 (0)2 788 8469 / email: graziosi@unric.org), Selma Vadala (Tel: +41 (0)79-444-4332 / email: svadala@ohchr.org)

For media inquiries related to other UN independent experts:
Xabier Celaya, UN Human Rights Media Unit (+ 41 22 917 9383 / xcelaya@ohchr.org)

UN Human Rights, follow us on social media:


Mandate holders carry out country visits to investigate the situation of human rights at the national level. Mandate holders typically send a letter to the Government requesting to visit the country, and, if the Government agrees, an invitation to visit is extended. Some countries have issued "standing invitations", which means that they are, in principle, prepared to receive a visit from any special procedures mandate holder.

During such missions, the experts assess the general human rights situation in a given country, as well as the specific institutional, legal, judicial, administrative and de facto situation under their respective mandates. During the country visit the experts will meet with national and local authorities, including members of the judiciary and parliamentarians; members of the national human rights institution, if applicable; non-governmental organizations, civil society organizations and victims of human rights violations; the UN and other inter-governmental agencies; and the press when giving a press-conference at the end of the mission. After their visits, special procedures' mandate-holders submit a mission report to the Human Rights Council including their findings and recommendations.

Mandate holders at times also visit various International Organizations that have cross-cutting themes with the mandates. For example, official visits were made to the World Bank, FAO, World Trade Organization, World Health Organization etc. and reports on recommendations arising from the visits have been issued.

Terms of Reference for Fact-finding missions by Special Procedures
The terms of reference for country visits were adopted at the fourth annual meeting of the special rapporteurs (E/CN.4/1998/45) and are intended to guide Governments in the conduct of the visit. During fact-finding missions, special procedures of the Human Rights Council, as well as of United Nations staff accompanying them, should be given the following guarantees and facilities by the Government that invited them to visit its country:

(a) Freedom of movement in the whole country, including facilitation of transport, in particular to restricted areas;

(b) Freedom of inquiry, in particular as regards:

(i) Access to all prisons, detention centres and places of interrogation;

(ii) Contacts with central and local authorities of all branches of government;

(iii) Contacts with representatives of non-governmental organizations, other private institutions and the media;

(iv) Confidential and unsupervised contact with witnesses and other private persons, including persons deprived of their liberty, considered necessary to fulfil the mandate of the special rapporteur; and

(v) Full access to all documentary material relevant to the mandate;

(c) Assurance by the Government that persons, whether officials or private individuals, who have been in contact with the special rapporteur/representative in relation to the mandate, will not, as a result, suffer threats, harassment or punishment or be subjected to judicial proceedings;

(d) Appropriate security arrangements without, however, restricting the freedom of movement and inquiry referred to above;

(e) Extension of the same guarantees and facilities mentioned above to the appropriate United Nations staff who will assist the special rapporteur before, during and after the visit.

Il Rapporto Ombra sull'implementazione della CEDAW in Italia presentato in Parlamento

La piattaforma "Lavori in corsa: 30 anni CEDAW"
è lieta di invitarvi alla
presentazione del Rapporto Ombra e delle Raccomandazioni CEDAW 2011
Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne



Martedì 17 gennaio 2012, dalle ore 10.00 alle ore 12.00
Camera dei Deputati - Sala Mappamondo
Entrata di Piazza Montecitorio 1

Verrà presentata e distribuita la sintesi divulgativa del Rapporto Ombra elaborato dalla Piattaforma "Lavori in corsa: 30 anni CEDAW" e delle Raccomandazioni che il Comitato CEDAW ha rivolto all'Italia in occasione della 49° sessione di valutazione tenutasi lo scorso Luglio 2011 presso le Nazioni Unite a New York

PROGRAMMA:

Modera
Tiziana Ferrario, Giornalista Rai

Presentazione del rapporto ombra e delle raccomandazioni CEDAW
Dott.ssa Simona Lanzoni - Fondazione Pangea onlus
Avv.ta Barbara Spinelli - Giuristi democratici
Dott.ssa Rossana Scaricabarozzi - ActionAid-Italia
Avv.ta Concetta Carrano - D.I.R.E. - Donne In Rete contro la violenza

Intervengono
Violeta Neubauer - Membro Comitato ONU CEDAW
On. Rosa Maria Villecco Calipari
On. Barbara Saltamartini
On. Savino Pezzotta
On. Anita Di Giuseppe
On. Benedetto Della Vedova

Conclude
Dott.ssa Alessandra Servidori Consigliera Nazionale di Parità

Per partecipare all’iniziativa è necessario registrarsi, entro e non oltre il 16 Gennaio, presso la segreteria dell’on.
Rosa Villecco Calipari - tel. 06 6760 9343 - mail: villecco_r@camera.it, o all’email: 30YEARSCEDAW@gmail.com

Per accedere nelle sale della Camera dei deputati gli uomini sono tenuti ad indossare giacca e cravatta.

Per info: http://lavorincorsa30annicedaw.blogspot.com

martedì 10 gennaio 2012

Iniziativa a Bologna sugli stereotipi di genere nella comunicazione. 14 gennaio 2012



sabato 14 gennaio
Sala dello Zodiaco Via Zamboni 13 Bologna
ore 14,30

Gabbia di sguardi.
Stereotipi di genere nella comunicazione

Ne parliamo con:


Barbara Spinelli
Avvocata redattrice del Rapporto Ombra CEDAW

Elisa Coco
Comunicattive

Mariangela De Gregorio, Anna Bestetti, Giulia Turrini
Frequenze di Genere

Barbara Servidori, Stefania Prestopino
Associazione Hamelin – collettivo Le Vocianti

Ico Gasparri
Artista Sociale, Fotografo

Ilaria Caprioglio
Avvocata e scrittrice, ex-modella

coordina Valèrie Donati,
collettivo Le Vocianti