martedì 19 gennaio 2010

LA CEDAW E LA PROMOZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLE DONNE

Cecilia Cortesi Venturini

LA CEDAW E LA PROMOZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLE DONNE

Relazione dell’Avv. Cecilia Cortesi Venturini per il seminario di formazione forense “Gli strumenti internazionali per la tutela delle vittime di violenza e discriminazioni di genere”, organizzato da Giuristi Democratici e D.i.RE. Bologna, 14.01.2010.

Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito, all'interno del sistema delle Nazioni Unite, alla realizzazione di progetti incisivi e interessanti riguardanti la tematica dei diritti delle donne. Alcuni di questi hanno avuto come tema principale la tutela dei diritti umani, prevedendo interventi per proteggere le donne da problemi specifici (come ad es. dalla violenza); altri hanno cercato di perfezionare e rendere più efficaci i meccanismi di prevenzione e punizione delle discriminazioni a cui esse sono soggette. Senza dubbio, entrambi i tipi di progetti hanno costituito un aiuto nel lavoro di sensibilizzazione della comunità internazionale verso i problemi della popolazione femminile di tutto il mondo.
Sarebbe certamente troppo lungo esporre le iniziative che anno per anno sono state dedicate alle
donne. Fondamentale è la Conferenza Mondiale sui Diritti Umani di Vienna del 1993 che ha dato
nuovo impeto alla campagna internazionale di promozione e protezione dei diritti umani delle donne, focalizzando l'attenzione soprattutto sul tema della violenza. Due anni più tardi si è tenuta a Pechino la IV Conferenza Mondiale sulle Donne, i cui risultati positivi hanno contribuito alla continuazione e conclusione dei lavori riguardanti la creazione di un meccanismo di ricorso individuale messo a disposizione delle donne il cui Stato abbia ratificato la Convenzione del 1979.

La Conferenza di Vienna sui Diritti Umani
La Conferenza Mondiale sui Diritti Umani ha avuto come scopo principale quello di presentare alla comunità internazionale un piano comune per il lavoro di rafforzamento dei diritti umani in tutto il mondo. Adottata la Dichiarazione di Vienna unitamente al Programma d'Azione, i due documenti sono volti al rafforzamento dei meccanismi di tutela dei diritti umani e contengono importanti previsioni in merito ai diritti delle donne. Una particolare attenzione rivolta alla parità tra uomo e donna, sia in termini generali, sia affrontando problematiche specifiche di cui le donne sono le principali vittime. Sin dal Preambolo viene richiamato il principio della non discriminazione basata sul sesso quale punto fondamentale del sistema delle Nazioni Unite e viene introdotto il tema della violenza come una delle tante forme di discriminazione.
L'importanza di considerare i diritti delle donne parte integrante dei diritti umani universali e il
principio dell'uguale partecipazione della popolazione femminile alla vita politica, civile, economica, sociale e culturale di un paese, sono dopo il 1993 parte integrante del vivere comune.
Inoltre le Nazioni Unite hanno intensificato il loro impegno nel rafforzamento della protezione accordata alle donne, soprattutto nella promozione di strumenti internazionali, come il protocollo
alla Convenzione CEDAW, che è importante strumento di lavoro contro le discriminazioni di enere.
Gli organi delle Nazioni Unite che dedicano la loro attività alla promozione e tutela dei diritti della
donna sono la Commissione sullo Status della Donna, la Commissione sui Diritti Umani e il CEDAW (Comitato per l'Eliminazione della Discriminazione Contro le Donne, istituito nel 1982 per monitorare l'applicazione della Convenzione del '79), la Special Rapporteur sulla Violenza alle
Donne, UNIFEM, DAW, ISNTRAW.
Ma a Vienna è stato affrontato il problema che impedisce alla popolazione femminile di partecipare attivamente alla vita sociale, cioè quello della violenza. È bene sottolineare che fino a quel momento le allarmanti dimensioni del fenomeno non erano state avvertite dalla comunità internazionale; la maggior parte dei governi tendeva a considerare la violenza come un problema
privato tra individui che non richiedeva pertanto un loro intervento. La Dichiarazione e il Programma d'Azione adottati a Vienna condannano in più punti la violenza di genere ed ogni forma di sfruttamento sessuale, perché contrari e incompatibili con la dignità e il valore della persona umana. Per eliminare tale forma di discriminazione la Conferenza ha insistito sull'importanza di lavorare verso la sua eliminazione nella vita pubblica e in quella privata e nell'amministrazione della giustizia. Ma la previsione più rilevante contenuta nel documento citato è quella che chiama l'Assemblea Generale ad adottare la Dichiarazione sulla violenza contro le donne e che giudica positivamente la decisione di creare uno Special Rapporteur sulla violenza. Dando seguito a queste previsioni, l'Assemblea Generale nel dicembre del '93 ha adottato la Dichiarazione sull'Eliminazione della Violenza Contro le Donne che, in sei articoli, chiarisce i termini del problema e chiama gli Stati, nonché gli organi e le agenzie specializzate delle Nazioni Unite a prendere ogni misura necessaria alla sua soluzione. Gli Stati non possono eludere gli impegni presi invocando come giustificazione considerazioni di tipo religioso, culturale o che comunque abbiano a che fare con le tradizioni del paese. Quel che maggiormente colpisce è la molteplicità delle aree in cui la violenza deve essere combattuta. La violenza che avviene all'interno delle pareti domestiche, incluso l'abuso sessuale delle figlie o anche pratiche legate alla tradizione quali la mutilazione degli organi genitali femminili; la violenza fisica, sessuale e psicologica che ha luogo all'interno della comunità in generale, come il traffico delle donne, la prostituzione forzata, ma anche l'intimidazione sul posto di lavoro e a scuola; la violenza perpetrata dallo Stato. È innegabile la rilevanza che assume tale documento perché è diventato uno strumento internazionale che si riferisce esclusivamente al tema della violenza. Accanto a questa Dichiarazione vi è la risoluzione adottata dalla Commissione sui Diritti Umani nel marzo del '94, con la quale si dà vita allo Special Rapporteur sulla violenza contro le donne. Le sue funzioni sono triplici: in primo luogo deve raccogliere informazioni sulla violenza e sulle cause e conseguenze da fonti quali organi governativi, agenzie specializzate e organizzazioni non governative. Una volta analizzati i dati raccolti, raccomanda misure volte all'eliminazione del problema a livello nazionale, regionale e internazionale ed infine si serve di altri gruppi di lavoro ed esperti indipendenti della Commissione sui Diritti Umani.

Relatrice speciale contro la violenza alle donne

La relatrice speciale sulla violenza contro le donne è stata nominata nel 1994, con il mandato di cercare e ricevere informazioni sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze, e di raccomandare misure per eliminare questa violenza e le sue cause e per porre rimedio alle sue conseguenze. Anche se il mandato di molti altri organismi tematici copre particolari forme di
violenza contro le donne, questo mandato è applicabile all’intera gamma di abusi violenti contro le donne, nella vita pubblica e privata. Tra tutti gli organismi tematici, questa relatrice speciale ha portato avanti l’analisi più approfondita del rapporto tra il genere i ruoli socialmente costruiti di uomini e donne e cause e conseguenze delle violazioni dei diritti umani.
La cornice legale principale del mandato è costituita dalla Dichiarazione dell’ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne, del 1993, e dalla Convenzione sull’eliminazione di
tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW). La dichiarazione del 1993 è la più esplicita affermazione di norme internazionali sulla violenza contro le donne e rappresenta la posizione condivisa da tutta la comunità internazionale per ciò che riguarda il dovere dei governi di eliminare la violenza contro le donne ed afferma regole che sono legalmente vincolanti, sia in base a specifici trattati sui diritti umani, sia in base al diritto consuetudinario internazionale. Definisce la violenza contro le donne come qualsiasi atto di violenza basata sul genere che determina, o può determinare, danni o sofferenza fisiche, sessuali o psicologiche per le donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che riguardino la sfera pubblica che quella privata (Articolo 1). La dichiarazione entra dettagliatamente nel merito delle iniziative legislative, educative ed amministrative e di altro genere che gli Stati devono intraprendere.
Inoltre il Comitato ONU sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne, nella sua raccomandazione generale n. 19 ha concluso che la violenza basata sul genere infrange molti diritti garantiti dalla CEDAW. La raccomandazione generale n. 19 dichiara che la violenza contro le donne è una forma di discriminazione che intacca la possibilità per le donne di godere dei propri diritti umani su una base di uguaglianza con gli uomini. La raccomandazione delinea le misure preventive, punitive e correttive che gli Stati devono porre in essere.
Inoltre, i diritti legati a diverse forme di violenza contro le donne sono affermati, tra le altre, nella
Dichiarazione universale dei diritti umani, nella Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, nella Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, nella Convenzione contro la tortura, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia, nella Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 (Quarta Convenzione di Ginevra) relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, e nei protocolli I e II della stessa Convenzione di Ginevra, e nella Convenzione internazionale sulla protezione dei lavoratori immigrati e dei loro familiari.
La violenza di genere quindi è una violazione dei diritti umani. Un crimine universale, di cui non si hanno dati precisi (sulla dimensione del fenomeno) per via del silenzio (delle donne, delle istituzioni, della cittadinanza, delle mancate denunce da parte delle donne, vittime di paure e rappresaglie), ma anche della difficoltà delle autorità a riconoscere la violenza di genere come crimine e, dunque, a punirla.
Il Comitato dei diritti umani ha fatto osservazioni all’Italia nell’aprile 2006 sul fatto che la legge sull’ordine di protezione, che autorizza l’autorità giudiziaria ad allontanare il perpetratore di violenza domestica dall’abitazione non sia stata implementata, ne vi siano dei dati statistici su quanti ricorsi, procedimenti e sentenze esistano ad oggi dalla sua entrata in vigore sulla questione della violenza domestica. Il Comitato ha chiesto di avere informazioni sul punto, anche al fine di assicurare azioni immediate da parte delle autorità nei casi di violenza domestica.
Il Comitato CEDAW nel 2005 ha rimarcato allo Stato Italiano la continua persistenza di violenza contro le donne, compreso la violenza domestica, e l’assenza di una strategia per combattere tutte le forme di violenza contro le donne, traffico di donne, ed ha ampiamente criticato la legge Bossi-Fini che garantisce potere discrezionale alle autorità locali di porre in essere restrizioni nei confronti delle vittime del traffico di esseri umani dal punto di vista di concessione del permesso di soggiorno in base all’art. 18 del TU sull’immigrazione. Il Comitato Cedaw ha anche chiesto di adottare misure contro la violenza alle donne nel rispetto della risoluzione n. 19 e di monitorare l’efficacia delle leggi contro la violenza domestica e di supportare associazioni non governative che hanno case rifugio, consulenza e servizi per le vittime. Punire e riabilitare i violenti, fare formazione e acquisire consapevolezza del fenomeno per gli ufficiali di ordine pubblico e magistrati.
Il Comitato CESCR sui diritti sociali e culturali nel 2004 ha sottolineato ancora l’urgenza di combattere la violenza domestica e ha espresso preoccupazione per i pochi casi di allontanamento presentati, specialmente dalla donne. Ha chiesto allo Stato Italiano di intensificare gli sforzi per combattere la violenza domestica specialmente contro le donne e di fare campagne informative per educare la popolazione sulle conseguenze della violenza domestica.
Lo Special Rapporteur sui migranti ha criticato l’Italia in merito alla scarsa e cattiva applicazione
dell’art. 18 per partecipare a programmi riabilitativi nonché all’assistenza sociale e la difficoltà di
ottenere un permesso di soggiorno per la vittima.
Già nel 2007 la Special Rapporteur Prof.ssa Yakin Erturk è venuta a Parma ospite delle Consigliere di Parità e del Centro Antiviolenza, in quanto l’avevo conosciuta conosciuto personalmente nel febbraio dell’anno 2000 a Ginevra alle Nazioni Uniti. La Special Rapporteur già al tempo aveva raccolto l’invito del Centro Antiviolenza, Associazione locale che lotta contro la Violenza alle donne, ma che è in Stato consultativo speciale con le Nazioni Unite dal 2003. Già la presenza di Yakin e il suo lavoro sul nostro territorio ha inciso sulle istituzioni locali per prendere coscienza dell’entità del fenomeno, al fine di incidere maggiormente nella lotta contro la violenza alle donne.
Sono molto contenta di questi incontri perché ci daranno la possibilità di rendere lo Stato Italiano
direttamente responsabile nei confronti delle donne per la violenza che viene perpetrata loro dai
mariti, conviventi ed anche dagli estranei.
La questione della violenza alle donne non è l’unica di cui si occupa la Cedaw ed anzi è arrivata in ritardo come già espresso precedentemente rispetto agli altri temi, anche perché quando si tratta di analizzare la fattispecie alla base della concessione dell’asilo politico o dello status di rifugiato non si verificano gli effetti che possono occorrere per quelle che sono effettivamente le differenze di genere: la storica divisione tra la sfera pubblica – maschile - e la fera privata – femminile – rende normale la divisione del lavoro, produttivo e riproduttivo, nonché l’omologazione delle regole che sanciscono riconoscimento dello status di rifugiato ad una sola identità di genere.
Se la donna appartiene tradizionalmente alla sfera privata della cura, come può avere dei riconoscimenti dalla sfera pubblica della società, in ambito politico?
Infatti le convenzioni internazionali sono intagliate, più che per garantire diritti alla persona, per garantire i diritti dell’uomo. Ciò non può che avere delle conseguenze sul riconoscimento di determinati benefici, attraverso la richiesta di riconoscimento di specifichi requisiti, più prettamente maschili che femminili (iscrizione ad un partito bandito dallo Stato, militanza in un’associazione politica contro il governo del paese, ecc.).
Questo può ben essere messo in evidenza in quella parte del mondo come il Kossovo, ove nel tempo vi è stata una massiccia pulizia etnica, attuata tramite stupro etnico, violenza sessuale, omicidi, torture, non solo da parte di pubblici ufficiali, ma anche da soggetti non appartenenti a milizie armate riconosciute, ma identificabili solo come soggetti terzi, attori di crimini di guerra e non; inoltre tradizioni culturali, relazioni di potere strutturate, dominazione e privilegi maschili rispetto ai diritti femminili di autodeterminazione e riproduttivi, nelle diverse contestualizzazioni, a casa, al lavoro, in tutte le sfere pubbliche, incidono nel godimento appieno dei diritti politici da parte delle donne. Di per sé in una situazione più svantaggiata per le donne che per gli uomini, queste non riescono assolutamente a godere dei diritti sociali, civili e neppure politici.
Gli Stati vengono considerati responsabili, e quindi in base alle convenzioni viene riconosciuto un
diritto di asilo o lo status di rifugiato, solo ed esclusivamente quando coloro che impediscono l’esercizio dei diritti civili e politici siano direttamente ricollegabili allo Stato perpetratore e pertanto sussista una responsabilità diretta imputabile allo stesso. Mentre viene esclusa la responsabilità dello Stato nel caso in cui non riescano a mantenere un sistema legale e sociale nel
quale la violazione dell’integrità mentale e fisica sia endemica.
Se la violenza contro le donne fosse considerata dal sistema normativo internazionale, così scioccante come la violenza esercitata contro le persone per le loro opinioni politiche, le donne avrebbero un aiuto considerevole nella loro lotta quotidiana per la vita.
L’assunto di ogni norma, compresa quelle internazionali a tutela dei diritti umani, prevede che la
divisione tra sfera pubblica e privata: la società umana viene divisa in due ambiti differenti. Questa divisione è comunque una costruzione ideologica che razionalizza l’esclusione della donna dal potere, che a sua volta permette, senza alcuna interferenza, l’esistenza di un sistema di controllo sulle donne attraverso la stessa sfera pubblica.
La Convenzione Cedaw del 1979, Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione
nei confronti delle donne, ratificata dall’Italia con anche il suo strumento di attuazione, il protocollo opzionale, è legge dello Stato italiano: questa definisce il concetto di discriminazione contro le donne (art. 1), come ogni distinzione esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo,
su base di parità tra l’uomo e la donna.
La Convenzione dà importanza ai diritti civili, politici, economici e sociali, perché molto spesso le altre convenzioni internazionali danno poco valore e riconoscimento specifico alle donne in ambito
civile o politico, anche perché, invece la maggior parte dell’oppressione femminile deriva ed è collegata ad impedimenti economici, sociali e culturali. I diritti economici, sociali e culturali sono tradizionalmente meno approfonditi dalle convenzioni internazionali e molto più difficili da attuare, questo non toglie che gli Stati debbano tutelare i loro cittadini anche nella realizzazione di questi diritti. Gli Stati hanno il dovere di formulare appropriate politiche di sviluppo con lo scopo di migliorare costantemente il benessere dell’intera popolazione e di tutti gli individui, in base alla loro significativa partecipazione allo sviluppo e nell’equa divisione dei benefici che ne risultano.
I diritti sono designati apparentemente per essere applicati a tutti gli individui, beneficiandone uomini e donne allo stesso modo: il preambolo della Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo del 1986, richiede il rispetto dei diritti umani senza alcuna distinzione di razza o di sesso. Così la dichiarazione (art. 8) obbliga gli Stati ad assicurare le pari opportunità per tutti sia nell’accesso alle risorse di base, che ad un’equa distribuzione dei redditi, stabilendo che “misure efficaci devono essere adottate per assicurare alle donne un ruolo attivo nel processo di sviluppo”.
Il diritto all’autodeterminazione viene espresso dalle Convenzioni internazionali, nel momento in
cui lo individuano come il diritto di tutte le persone di determinare il proprio status politico e liberamente perseguire uno sviluppo economico, sociale e culturale.