I FEMMINICIDI COMMESSI DA ISIS E LA RESISTENZA DELLE DONNE CURDE
di Barbara Spinelli
Il genocidio in atto nell'area meridionale del Kurdistan (nord Iraq) colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e la libertà delle donne.
Come è già avvenuto in altri recenti conflitti, dal Kosovo al Rwanda, le pratiche di genocidio includono atti sempre più visibili ed estesi di violenza nei confronti delle donne come gruppo.
I femminicidi di massa perpetrati da ISIS possono essere considerati crimini di guerra e contro l'umanità, non solo perché costituiscono una strategia politica dello “Stato islamico”, ma anche perché sono rivolti a colpire in maniera specifica e sistematica donne e bambini.
Gli atti di femminicidio sono utilizzati dalle milizie dell'ISIS come strumento di dominio patriarcale e come arma di guerra, funzionale allo sterminio delle minoranze etniche e religiose e per la distruzione del modello ddel Rojava di autogoverno democratico e di convivenza pacifica tra diverse etnie e minoranze religiose della regione autonoma del kurdistan iracheno, collocata in un territorio politicamente ed economicamente strategico.
Gli atti di femminicidio di massa perpetrati in danno delle donne appartenenti alle minoranze presenti nell'area, in particolare del gruppo kurdo yazida, comprendono femmicidi, stupri, prostituzione forzata, schiavitù sessuale, matrimoni forzati, mutilazione dei genitali femminili, ma anche il suicidio di numerose donne e bambine per sfuggire a questo atroce destino.
Gli Stati hanno l'obbligo derivante dal diritto internazionale di prevenire e contrastare le violazioni dei diritti umani rivolte specificamente nei confronti delle donne come gruppo, anche nell'ambito di situazioni di conflitto ed anche quando perpetrate da gruppi non statali armati.
Anche in situazioni di conflitto gli Stati devono garantire il diritto di donne e bambine a non subire torture ed altri trattamenti disumani e degradanti, come ricordato con chiarezza e precisione nella raccomandazione generale n. 30 del Comitato per l'implementazione della CEDAW, la Convenzione ONU per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, ratificata, oltre che dall'Italia e numerosi altri Stati del mondo, anche da Turchia, Siria ed Iraq.
La protezione dei diritti umani delle bambine e delle donne profughe, nonché di quelle nelle zone ancora colpite dal conflitto, richiede la massima solidarietà a livello internazionale, in particolare da parte di quelle donne che ricoprono posizioni di potere e che possono più concretamente supportare l'attivismo di tutte le donne materialmente coinvolte nelle attività umanitarie sul territorio in supporto delle popolazioni colpite.
In tal senso, occorre ricordare e riconoscere merito alle donne militanti nelle Unità femminili di difesa (JPG) del Rojava, tra le prime ad intervenire per garantire la protezione degli yezidi dopo la presa di Sinjar, e parte attiva nella resistenza di terra contro l'avanzata dell'ISIS.
Resistere è vivere, e la resistenza delle donne ad ogni forma di fondamentalismo che vorrebbe limitarne le libertà, protegge la vita e la democrazia per tutti.
Come forma concreta di solidarietà internazionale, e di mutuo riconoscimento della necessità di fare rete a livello internazionale tra le donne a diverso titolo artefici di importanti battaglie contro il femminicidio e per il pieno riconoscimento dei diritti umani delle donne e dei popoli, abbiamo organizzato a Roma questo convegno internazionale, al quale siete tutte e tutti invitati.