lunedì 25 luglio 2011

Matrimoni forzati: è violenza sulle donne

MATRIMONI FORZATI: E’ VIOLENZA SULLE DONNE.



BASTA FAR FINTA DI NON VEDERE, LE ISTITUZIONI DEVONO AIUTARE LE RAGAZZE CHE NON VOGLIONO SPOSARSI.

A Bologna Nura ha tentato il suicidio per sfuggire a un matrimonio forzato e alle botte del fratello, che  voleva sapere con chi parlava al telefono, e a chissà a cos’altro.

Nura è solo una delle tante ragazze che ogni anno nelle nostre città, dopo aver frequentato le scuole con i nostri figli, mangiato la pizza con loro, vengono portate a sposare dalla famiglia con perfetti sconosciuti, in Pakistan soprattutto. O con le buone, perché alcune ragazze sono felici del matrimonio, della festa e della tradizione o con le cattive. Documenti sequestrati, botte, minacce, deportazione in Pakistan. Le strade sono due: chiedere aiuto, rischiando la vita, e se non lo si trova, non si sa a chi chiederlo o non se ne ha il coraggio, il suicidio.

La ricerca di Trama di Terre (1) parla chiaro: molti casi rimangono sommersi perché le ragazze non sanno a chi rivolgersi, perché i servizi accettano questa tradizione e non ci vedono niente di male, soprattutto se la ragazza, davanti ai genitori, abbozza un cenno di entusiasmo (e come fare altrimenti, davanti a loro?).

La Ministra per le Pari opportunità Mara Carfagna è intervenuta dicendo che questa "è una nuova, triste storia di mancata integrazione. Una storia che poteva essere risolta molto prima, rivolgendosi alla polizia e sporgendo denuncia".

La denuncia non è mai un passo facile. Non lo è per una donna italiana picchiata dal marito, lo è molto meno per una ragazza pakistana promessa in sposa, spesso con i documenti sequestrati dalla famiglia e controllata a vista dai maschi di casa.

Fare denuncia per rischiare di essere rinchiuse in un CIE o di essere rispedite a casa, dalla famiglia, e uccise, è un’alternativa che alle orecchie di queste ragazze suona peggio del suicidio.

E’ un problema di violenza di genere, patriarcale, e non di mancata integrazione.

E’ un problema di padri che vogliono decidere sulla vita delle figlie, privarle della libertà di scegliere se e con chi sposarsi e dividere la loro vita.

E allora non si può continuare a far finta di non vedere dov’è il vero problema. Come raggiungere queste ragazze, come aiutarle a scappare a famiglie che le minacciano, le intimoriscono, le maltrattano per tenerle sotto il loro controllo.

Già all’ONU, nel corso della sessione di esame sull’attuazione della CEDAW in Italia , il Governo italiano aveva risposto a una domanda del Comitato dicendo che i matrimoni forzati non sono un fenomeno che riguarda l’Italia ma altre parti del mondo, e che i casi sono rarissimi.

Non è vero. I matrimoni forzati sono frequenti e spesso le famiglie restano impunite.

Nel Rapporto Ombra sulla attuazione della CEDAW in Italia (2)  come Piattaforma italiana “Lavori in corsa . 30 anni di CEDAW” (3) abbiamo evidenziato che In Italia non esiste nessuna rilevazione statistica in grado di determinare la diffusione dei matrimoni forzati. L’assenza di indagini su tutto il territorio nazionale comporta l’impossibilità di prevedere misure specifiche per la prevenzione di questo fenomeno, per la protezione delle vittime e per una efficace repressione dei reati connessi a questa pratica.

Le vittime di matrimoni forzati sono molto più vulnerabili rispetto alle altre vittime di violenza domestica: c’è un alto rischio di suicidio, sequestro e riduzione in schiavitù da parte delle famiglie, rimpatrio forzato nel Paese d’origine.

Gli ostacoli nella protezione delle vittime di matrimoni forzati sono numerosi: mancano strutture sui territori a cui chiedere aiuto, numeri amici, case rifugio ad alta sicurezza, ostacoli burocratici e amministrativi legati alla legge sull’immigrazione.

Le vittime di matrimoni forzati infatti non possono godere di un percorso di reinserimento speciale come quello delle vittime di tratta.

E allora, Ministra, è facile parlare di scarsa integrazione.

Ma chi conosce il problema e lavora con queste donne, le professoresse a cui queste ragazze a scuola chiedono aiuto, sanno che parliamo di violenza domestica verso vittime particolarmente vulnerabili.

Questo richiede al più presto un piano di azione nazionale, formazione degli insegnanti e dei servizi sociali, la creazione di case rifugio per vittime ad alto rischio di protezione, indagini statistiche.

Esistono delle Raccomandazioni e Risoluzioni europee che ce lo impongono.

Non facciamo finta di ignorare che servono soldi per la protezione delle vittime di violenza: di quelle accolte dai centri antiviolenza e di quelle che per essere accolte dai centri antiviolenza necessitano una protezione speciale, come le vittime di matrimoni forzati.

C’è Nura, ma per fortuna ci sono sempre più ragazze che chiedono aiuto, e lo trovano. Io ne conosco parecchie di ragazze pakistane che hanno deciso di dire di no, e hanno trovato donne disposte ad aiutarle nella loro scelta. Ma gli ostacoli da affrontare sono numerosi e i fondi per la protezione ed il reinserimento di queste ragazze scarseggiano.

Che il Governo faccia la sua parte, finanziando la creazione di case rifugio e adottando un Piano Nazionale di contrasto ai matrimoni forzati, riconoscendo che si tratta di violenza di genere e come tale va affrontata.

Barbara Spinelli, Giuristi Democratici, autrice di “Femminicidio”, redattrice insieme e per la Piattaforma “30 anni di CEDAW-Lavori in corsa” del Rapporto Ombra sullo stato di attuazione della CEDAW in Italia (2005-2010)