127 donne uccise per motivi di genere nel 2011 in Italia, con un picco tremendo in dicembre. Un rapporto su questa piaga alla base delle "raccomandazioni" dell'Onu al nostro Paese. Se ne discute oggi a Montecitorio
Luisa Betti - 17.01.2012
Il Manifesto
Il 2011 si è chiuso, per gli italiani e le italiane, con il sangue delle 127 donne uccise per motivi di genere, cioè in quanto donne, con un picco che ha visto durante le vacanze tra Natale e Capodanno un lungo elenco di nomi femminili in cronaca nera: Stefania Noce, 24 anni, morta accoltellata dall’ex fidanzato sul balcone di casa sua; Daniela Bertolazzi, 60 anni, uccisa in camera da letto dal suo convivente a martellate sulla testa; Silvia Elena Minastireanu, romena di 20 anni, uccisa il 23 dicembre a casa sua, strangolata da Luca D'Alessandro, 18 anni; Rosa Allegretti, prostituta uccisa da Costabile Piccirillo, giardiniere di Agropoli, trovata seppellita con mani e piedi legati, colpita con un bastone e con in bocca con un fazzoletto e nastro isolante; Mariya Alferenok, ucraina di 53 anni e da dieci anni a Melfi, uccisa a calci e pugni dal convivente, ritrovata col volto tumefatto a casa sua. Un elenco che con l’inizio del nuovo anno ha continuato con un trend in salita con la morte di quasi una donna al giorno, uccise da mariti, conviventi, ex partner: 12 donne finora, tra cui Enza Cappuccio, 33 anni, cieca, madre di 6 figli, arrivata all’ospedale Cardarelli di Napoli accompagnata dal marito, dal cognato e da un amico, ormai senza vita ma con segni evidenti di contusioni e probabile strangolamento, nonché in una condizione fisica di evidente denutrizione; Rosetta Trovato, 38anni, uccisa dal marito, strangolata davanti alla figlioletta; e Stefania Mighali, 40 anni, uccisa a coltellate dal marito, che dopo il femicidio ha appiccato il fuoco alla casa sterminando la famiglia e gettandosi poi dal balcone. Un quadro agghiacciante che spiega con i fatti quanto l’Italia abbia bisogno di cambiare in profondità il suo modo di trattare le donne. Ma il femicidio, estrema conseguenza della violenza contro le donne, non è un problema nuovo ed è stato anche ampiamente affrontato nel “Rapporto Ombra”, redatto dalle associazioni e dalle Ong italiane – sulla situazione delle italiane nel lavoro, il welfare, la politica, gli stereotipi, fino appunto alla violenza – che dopo essere stato presentato a New York in luglio, alle Nazioni Unite (Cedaw), stamattina sarà al centro della discussione che si tiene alla Sala Mappamondo della Camera (piazza Montecitorio 1), con interventi di tutte le parti riunite nella Piattaforma “Lavori in corsa - 30 anni CEDAW” - Simona Lanzoni di Pangea, Barbara Spinelli di Giuristi democratici, Rossana Scaricabarozzi di ActionAid e Titti Carrano di D.i.re (Donne In Rete contro la violenza) - con un intevernto di Violeta Neubauer, membro del Comitato CEDAW, e le rappresentanze politiche invitate dalla On. Rosa Maria Villecco Calipari, che coordina il convegno moderato dalla giornalista Tiziana Ferrario, e con le conclusioni della ministra del Lavoro, con delega alle Pari Opportunità, Elsa Fornero. Un’occasione unica per capire come è possibile che l’Italia si sia ridotta in queste condizioni.
“Nel Rapporto Ombra – dice l’avvocata Titti Carrano che ha partecipato alla stesura per la parte che riguarda la violenza sulle donne nel testo presentato alle Nazioni Unite – è scritto chiaramente che nel monitoraggio che fanno le associazioni che si occupano di questo problema, emerge l’assoluta inadeguatezza dell’Italia su diversi fronti: non esiste ancora una legge sulla violenza di genere che comprenda, oltre alla violenza sessuale, tutte le forme di violenza che una donna può subire; l’insufficienza delle strutture dei centri antiviolenza che non hanno garanzie di finanziamento costante da parte degli enti locali e che quindi non riescono a garantire la copertura e la domanda del territorio; la mancanza allarmante di un’osservatorio nazionale su quello che è la violenza in Italia e quindi una carenza di dati ufficiali attendibili, in quanto sempre disgregati, o perché a livello territoriale o perché senza un osservatorio di genere; e infine la gravissima cecità rispetto alla violenza assistita dai minori nell’ambito domestico, dove si consuma una violenza reiterata nel tempo e quindi doppiamente traumatica”.
Nelle Raccomandazioni del Comitato Cedaw al Governo italiano, fatte a seguito della presentazione del “Rapporto Ombra” redatto, ricordiamolo, dalle associazioni e non dal nostro governo - che non si è sentito in “dovere” di fare un’analisi e un quadro della situazione disastrosa della donna in Italia pur avendo ratificato la Convenzione nel 1985 – si intuisce chiaramente la possibilità che ci sia una resposabilità delle istituzioni italiane non solo per quanto riguarda la discriminazione di genere nella politica, nel lavoro, nel perdurare degli stereotipi maschilisti, ma anche per quel che riguarda la crescita del femicido, in quanto si legge che il Comitato si dichiara “preoccupato per l’elevato numero di donne uccise da partner ed ex partner che può indicare un fallimento delle autorità dello Stato nel proteggere adeguatamente le donne vittime dei loro partner o ex partner”.
Un’affermazione che richiama alla mente le tante separazioni che si concludono con violenze fisiche o psicologiche, con stalking e minacce, o appunto con la soppressione fisica della donna, con un atto di violenza estrema, che alcuni giornali continuano a chiamare: “delitto passionale” o “raptus di un folle”. Una tragedia ormai inarrestabile di cui sono responsabili quindi anche quelle autorità che omettono di applicare norme di allontanamento di ex partner pericolosi, o che non distinguono la conflittualità di coppia dalla violenza vera e propria, e che “si dimenticano” di dare protezione appunto alla potenziale vittima, compresi i minori nel caso siano presenti.
Ad analizzare in profondità questo bel panorama da horror all’italiana, sarà in questi giorni, Rashida Manjoo, esperta indipendente incaricata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per il monitoraggio della violenza contro le donne nel mondo, che, in visita nel nostro paese, ha spiegato come “questa missione mi offre un'occasione unica per discutere e relazionare sull'impatto delle politiche e dei programmi adottati in Italia per combattere il problema”. Manjo, docente al Dipartimento di Legislazione Pubblica dell’Università di Cape Town, è stata nominata Relatore speciale sulla violenza contro le donne, nel giugno 2009 dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per un periodo iniziale di tre anni, e come relatore speciale è indipendente da qualsiasi governo o organizzazione. In quanto relatore speciale sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo analizzerà le cause e le conseguenze del fenomeno, investigando su tutte le forme di violenza: da quella domestica, alla violenza perpetrata o tollerata dallo Stato, la violenza in ambito transnazionale, la violenza contro i rifugiati, richiedenti asilo e le donne migranti, e alla fine della sua visita, il 26 gennaio, illustrerà durante una conferenza stampa, presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI), i primi risultati del rapporto che sarà illustrato, con le raccomandazioni, nella ventesima sessione del Consiglio dei Diritti Umani nel giugno 2012.