“Rapporto Ombra”. La violenza maschile prima causa di morte per le donne in Ue e nel mondo. Più 6,7% nel 2010 rispetto al 2009: 127 donne uccise in un anno, per 114 l’assassino è un familiare. Calipari (Pd): "Allentare la morsa discriminatoria. Piano nazionale antiviolenza, legge su dimissioni in bianco e cambiare la legge elettorale"
di Redattore Sociale
ROMA – La violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne in tutta Europa e nel mondo. Nel nostro continente ogni giorno 7 donne vengono uccise dai propri partner o ex partner. In Italia solo nel 2010 i casi di femminicidio sono stati 127: il 6,7% in più rispetto all’anno precedente. Di queste, 114 sono state uccise da membri della famiglia. In particolare, 68 sono state uccise dal partner e 29 dall’ex partner. Dunque, in più della metà dei casi il femmicidio è stato commesso nell’ambito di una relazione sentimentale, in corso o appena terminata, per mano del coniuge, convivente, fidanzato o ex. La maggior parte delle vittime è italiana (78%), così come la maggior parte degli uomini che le hanno uccise (79%). Solo una minima parte di questi delitti è avvenuta per mano di sconosciuti. Nella restante parte dei casi è avvenuto per mano di un altro parente della vittima o comunque di persona conosciuta. E’ uno degli aspetti più delicati su cui si concentra il “Rapporto Ombra” della società civile sulla condizione delle donne in Italia.
“I media spesso presentano i casi di femmicidio come frutto di delitti passionali, di un’azione improvvisa ed imprevedibile di uomini vittime di raptus e follia omicida – si legge nel rapporto - In realtà questi sono l’epilogo di un crescendo di violenza a senso unico e generalmente sono causati da un’incapacità di accettare le separazioni, da gelosie, da un sentimento di orgoglio ferito, dalla volontà di vendetta e punizione nei confronti di una donna che ha trasgredito a un modello comportamentale tradizionale”. Un ruolo che in Italia è ancora relegato a quello di madre e moglie, oppure di oggetto del desiderio sessuale. Secondo il rapporto, nel momento in cui la donna italiana cerca di uscire da questi schemi, nasce il rifiuto del partner maschile alla sua emancipazione “che si trasforma in forme di controllo economico, di violenza psicologica, di violenza fisica, e che può arrivare fino all’uccisione della donna”, secondo gli autori del rapporto.
A influire negativamente in termini legislativi son anche i tempi troppo lenti per ottenere il divorzio in un paese come il nostro. Devono trascorrere tre anni dalla prima udienza di richiesta di separazione per poter richiedere il divorzio. In questo lasso di tempo si intensificano gli atti di violenza. Spesso l’ex marito non si rassegna all’allontanamento dell’ex moglie e mette in atto “atteggiamenti persecutori e di controllo con un uso della forza nei confronti della donna e che possono portare sino all’omicidio della stessa”.
In Italia manca un’unica definizione legislativa delle discriminazioni di genere, che rispecchi quella già presente delle direttive europee. La bocciatura in Parlamento della legge contro l’omofobia ha lasciato un vuoto legislativo ancora aperto. “Se fosse stata approvata una legge di tutela dalle discriminazioni e dalla violenza indipendentemente dal genere di appartenenza e dalla propria scelta sessuale – si legge ancora nel rapporto - sicuramente si sarebbero potuti prevenire molti casi di aggressioni contro gay, lesbiche, transessuali e intersessuali che si sono verificati negli ultimi anni”.
Sullo stereotipo nei confronti della donna come forma di discriminazione, arriva il mea culpa dell’onorevole Benedetto Della Vedova (Fli) che ha partecipato al dibattito nella sala Mappamondo sul rapporto Onu Cedaw. “Credo che la classe politica abbia le sue responsabilità – ha detto – è bene che in Italia nei prossimi 10 anni si subisca un po’ di ‘politically correct’ perché abbiamo debordato oltre i limiti fisiologici”. Secondo l’onorevole Rosa Villecco Calipari (Pd), “bisogna allentare la morsa discriminatoria che è strutturale in questo paese”. E da Calipari arrivano alcune proposte immediate per migliorare la situazione delle donne in Italia, a partire dalle considerazioni contenute nel rapporto presentato. In primis ripristinare le norme contro le dimissioni in bianco. “ Mi auguro che il ministro Fornero possa al più presto possan cominciare a mettere in piedi alcune misure, tra cui sulla norma delle dimissioni in bianco – ha detto la deputata del Pd - Ripristinare ciò che è stato cancellato nel 2008 incide profondamente perché consente atti ricattatori delle donne sul lavoro in uno dei momenti più delicati della loro vita: cioè la maternità. Tanto più che oggi siamo una larga parte politica a sostenere questo governo e che le norme sulle dimissioni in bianco sono state già calendarizzate in commissione lavoro”.
L’altra proposta di Calipari è di creare “un piano nazionale antiviolenza”. “C’è il problema dei centri antiviolenza che avevano subito pesantissimi tagli e il cui piano di finanziamento è una tantum, vale per un anno, un anno e mezzo. Abbiamo una situazione a macchia di leopardo, ci sono regioni e regioni. La deregulation ha aumentato la differenziazione sul territorio – ha continuato - I centri antiviolenza sostengono da 20 anni le donne che subiscono violenza in questo paese, e andrebbero valorizzati con una raccolta di dati statistici perché ci consentono di vedere la realtà”. Poi, partendo dalla considerazione che la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni è il femminicidio, Calipari chiede un piano nazionale antiviolenza. “Serve una strategia coordinata – ha detto - Gli stereotipi sono legati alla violenza, se creo un’immagine di oggetto sessuale, è difficile che poi la violenza non venga perpetrata su questa persona. Condivido l’istituzione di un’autorità indipendente per i diritti umani, ed è il momento di affrontare la questione delle donne nella discussione sulla legge elettorale, questo è il momento di rivedere i meccanismi. Devono esserci sanzioni e inammissibilità per i consigli regionali che non hanno eletto una sola donna al loro interno”.
Su questo tema, Barbara Saltamartini (Pdl) ha sottolineato che in commissione Affari Costituzionali è in discussione una proposta di legge sui consigli elettivi enti locali, anche se non sono previste grosse sanzioni Saltamartini ha commentato che “l’aula i grandi sogni te li ammazza, va fatta una mediazione”. Secondo la deputata del Pdl, “la maggior parte delle violenze avviene dentro casa, vuol dire che c’è un problema culturale da combattere. Bisogna coinvolgere i colleghi parlamentari uomini, più loro che noi, sennò questa battaglia non la vinciamo”.
Il Cedaw all’Italia: “Lacuna immensa fra la normativa e la sua applicazione” . Il 2012 si apre alla Camera dei Deputati all’insegna dei diritti delle donne. Un tema sensibile per l’Italia in questo momento, tanto che arriva una “tirata d’orecchie” dal comitato Cedaw che verifica il rispetto della Convenzione Onu contro le discriminazioni nei confronti delle donne. E un piccato botta e risposta tra il membro del Comitato internazionale, Violeta Neubauer e Alessandra Servidori, consigliera nazionale di Parità. Il tutto avviene nella sala Mappamondo gremita da tantissime donne, alla presentazione del “Rapporto Ombra” della società civile e delle raccomandazioni del comitato Cedaw 2011 L’evento è stato organizzato da Fondazione Pangea Onlus per la piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni Cedaw”. Il dibattito, moderato dalla giornalista Tiziana Ferrario, è stato diviso in due momenti con gli interventi della società civile e del Comitato Cedaw e poi con la presenza di alcuni parlamentari.
“Per quanto riguarda le raccomandazioni, ci sono quelle contro la violenza sulle donne – ha detto la giornalista Ferrario - si chiede che siano ripristinati i fondi ai centri antiviolenza perché dal rapporto emerge che sono stati tagliati. Il tasso di disoccupazione è alto e sono le donne a essere le più colpite, anche dal lavoro precario. Un’altra raccomandazione è di promuovere l’equa condivisione degli impegni familiari tra uomo e donna per assicurare la conciliazione vita- lavoro anche in quelle regioni con meno servizi sociali come gli asili nido e si tocca il tema delle dimissioni in bianco, perché la violenza passa anche dalla dipendenza economica delle donne, poter garantire un’uscita dal precariato alle donne significa offrire strumenti in più. Una delle raccomandazioni è l’elaborazione di una strategia di lungo termine per combattere gli stereotipi e di programmi scolastici contro le discriminazioni”. Su questi appunti del comitato rappresentato dalla Neubauer, la consigliera nazionale di Parità Salvadori ha voluto ribattere. In particolare sull’accusa che “finora l’opinione pubblica italiana non è stata informata sulla Cedaw perché non sono mai stati tradotti e divulgati i rapporti periodici dello Stato Italiano al comitato Cedaw né le raccomandazioni fatte dal comitato” .
“Abbiamo tradotto tutti gli atti, è bene che queste cose siano conosciute – ha contestato Alessandra Servidori - Abbiamo lavorato molto, è un problema che non ci sia comunicazione. È stato fatto un piano nazionale Italia 2020 all’interno degli istituti scolastici su questi temi, sul testo unico 81 quello sulla prevenzione e la sicurezza delle donne sui luoghi di lavoro. Stiamo lavorando anche sulla cosiddetta Legge Brunetta. Mi dispiace che il nostro lavoro non sia stato riconosciuto”.
Dopo il suo intervento, Violeta Neubauer ha chiesto la parola: “Vorrei dire chiaramente che ancora non so dove posso trovare i documenti tradotti dall’Italia”, ha esordito. Infatti non è chiaro su quale sito governativo sarebbero stati pubblicati e consultabili. “Non è che non l’ho trovato perché non so usare la lingua italiana – ha continuato il membro del comitato Cedaw, intercalando l’italiano all’inglese - Lascio a voi la considerazione su quella che è la realtà dei fatti. Non è vero che il comitato non ha preso atto dell’immensa mole di lavoro fatta dalle autorità italiane nel migliorare ma è anche vero che molti interrogativi non sono stati affrontati in modo preciso e adeguato. Si è risposto genericamente, ripetendo pedissequamente quelle che erano le raccomandazioni del comitato Cedaw. Tutte le domande e le risposte della delegazione italiana sono sul nostro sito. Pertanto se è vero che nessun governo è contento di ricevere osservazioni critiche, il comitato non è lì per blandire i governi ma per mettersi al servizio delle donne che devono essere protette a pieno. Il comitato non è soddisfatto dell’applicazione della convenzione, rimane una lacuna immensa esistente fra la normativa e la non applicazione di queste leggi in Italia. Le donne non sono un problema. Le donne sono la soluzione”. All’iniziativa hanno partecipato anche Simona Lanzoni di Fondazione Pangea Onlus, Barbara Spinelli di Giuristi democratici, Rossana Sacricabarozzi di ActionAid Italia e Concetta Carrano di “Donne in rete contro la violenza”. (Redattore Sociale)